Omicidio Sacchi, salta l’udienza d’appello per i due presunti killer: «Rischio crisi claustrofobica». L’ira del padre della vittima

Accolta la richiesta degli avvocati di Valerio Del Grosso e Paolo Pirino. Potranno essere trasferiti da Rebibbia al tribunale in ambulanza, anziché sulla camionetta della polizia

La claustrofobia di due imputati fa slittare l’udienza di appello per l’omicidio di Luca Sacchi, avvenuto il 23 ottobre del 2019. I giudici della Corte d’Assise di Appello di Roma avrebbero dovuto riunirsi oggi. Due degli imputati, però, Valerio Del Grosso e Paolo Pirino, condannati in primo grado rispettivamente a 27 e 25 anni di carcere, hanno rifiutato il trasferimento dal carcere di Rebibbia all’aula di tribunale di piazzale Clodio, a Roma, per il timore di avere una crisi claustrofobica sulla camionetta della polizia penitenziaria durante il tragitto. I giudici hanno accolto la richiesta della difesa, disponendo il rinvio dell’udienza, anche se di pochi giorni, al 23 febbraio. Quel giorno, i due imputati potranno raggiungere il tribunale a bordo di un’ambulanza. Del Grosso e Pirino, ritenuti dai giudici di primo grado gli esecutori materiali dell’omicidio, sono solo due dei quattro imputati per il caso Sacchi. Assieme a loro ci sono anche Marcello De Propris, condannato in primo grado a 25 anni per aver fornito la pistola, e Anastasiya Kylemnyk, condannata in primo grado a 3 anni per violazione della legge sugli stupefacenti. Kylemnyk, che al tempo era la compagna di Luca Sacchi, è in realtà considerata parte lesa nell’indagine per omicidio. Allo stesso tempo, però, la ragazza è stata considerata responsabile, in primo grado, del traffico di stupefacenti che ha poi portato al delitto del 24enne.


Il commento di Alfonso Sacchi

La notizia del rinvio dell’udienza deciso oggi dai giudici di appello ha lasciato di stucco Alfonso Sacchi, padre del 24enne ucciso nel 2019. «Per un genitore è sempre un’agonia essere qui. È una sofferenza e qui si parla di cavilli», ha detto il padre della vittima. Che poi aggiunge: «Non posso non pensare che quando hanno ucciso mio figlio quei due erano in una Smart, che è molto più piccola di un camionetta per il trasporto detenuti. Ora soffrono di claustrofobia, ma perché all’epoca viaggiavano in una Smart in due?», si è chiesto Sacchi.


Foto di copertina: ANSA/MASSIMO PERCOSSI | Fiori sul luogo dove Luca Sacchi è stato aggredito in via Teodoro Mommsen, a Roma

Leggi anche: