Pesca, ricerca, biodiversità: cosa prevede il Trattato sulla protezione degli oceani firmato all’Onu

L’accordo concluso nella notte dagli Stati mondiali avvicina l’obiettivo “30×30”: proteggere il 30% degli oceani entro il 2030

«La nave ha raggiunto la riva». Con queste parole l’ambasciatrice Rena Lee, presidente della Conferenza internazionale sulla biodiversità, ha (finalmente) annunciato ai delegati degli Stati membri delle Nazioni Unite il raggiungimento dell’accordo per proteggere gli oceani. Sono state necessarie 38 ore di estenuanti negoziati e un giro finale di discussioni serrate che ha tenuto svegli 24 ore su 24 – secondo quanto riporta il Guardian – i delegati del quartier generale dell’Onu a New York nella serata di ieri, 4 marzo, prima di trovare un accordo per darsi nuove regole indirizzate alla protezione del mare e della biodiversità. «L’oceano è cibo, energia, vita. Ci ha dato così tanto all’umanità: è tempo di restituire. Ce l’abbiamo fatta!», ha scritto su Twitter la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, accogliendo «con favore» l’accordo raggiunto. Il testo adesso verrà sottoposto a revisione editoriale e traduzioni prima di essere adottato in una successiva sessione.


Che cos’è l’Alto mare?

Con il termine «Alto mare» si intende tutta quell’area (di mare) che si trova al di là della Zona Economica Esclusiva (ZEE) nazionale – oltre le 200 miglia nautiche dalla costa, se gli Stati hanno dichiarato la EEZ – e occupa circa i due terzi dell’oceano. Tutta questa area fa parte delle cosiddette acque internazionali, quindi al di fuori della giurisdizioni nazionali, in cui tutti gli Stati hanno diritto di navigare, fare ricerca o pescare. Il cosiddetto Alto Mare svolge un ruolo di primo piano nel sostenere le attività di pesca, fornire habitat a specie cruciali per la salute del pianeta e nel mitigare l’impatto della crisi climatica. Tuttavia, finora nessun governo si era assunto la responsabilità della protezione e della gestione sostenibile delle risorse di questa vasta area, il che ha reso l’Alto Mare una zona vulnerabile: alcuni degli ecosistemi più importanti del pianeta, infatti, sono a rischio, con conseguente perdita di biodiversità e habitat. Secondo le stime, tra il 10% e il 15% delle specie marine è già a rischio estinzione.


Cosa prevede l’accordo

Il trattato (globale) sugli Oceani dà una possibilità concreta all’obiettivo 30×30, ovvero proteggere il 30% degli oceani entro il 2030, deciso lo scorso dicembre dai Paesi che hanno partecipato alla conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità. Grazie all’accordo sarò possibile inoltre istituire Aree Marine Protette in alto mare. I delegati hanno inoltre concordato l’istituzione di una conference of the parties (Cop) sul tema della preservazione degli oceani che si riunirà periodicamente e consentirà – agli Stati membri – scrive il quotidiano britannico – di essere costantemente aggiornati sulle reciproche decisioni e azioni relative alla governance degli oceani e alla biodiversità. Un obiettivo storico, quanto urgente. Gli ecosistemi, infatti, producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, rappresentano il 95% della biosfera del pianeta e, assorbendo anidride carbonica, sono un alleato indispensabile nella lotta al climate change. Tuttavia, fino ad ora, le norme frammentate e applicate in modo approssimativo che disciplinavano l’Alto Mare hanno reso quest’area più suscettibile allo sfruttamento rispetto alle acque nazionali.

Secondo Greenpeace, che ha definito l’accordo raggiunto all’Onu «vittoria monumentale», il testo – frutto di un negoziato serrato – presenta comunque dei punti critici e adesso sta ai governi ratificare al più presto il trattato e quindi metterlo in pratica in modo rapido, efficace ed equo, si legge nella nota. «Questo è un momento storico per la protezione della natura e degli oceani. Ed è anche un segnale che in un mondo sempre più diviso, la protezione della natura e delle persone può trionfare sui calcoli della geopolitica», dichiara Laura Meller di Greenpeace. «Ci congratuliamo con tutti i Paesi per aver raggiunto un compromesso mettendo da parte le diverse posizioni e producendo un trattato che ci permetterà di proteggere il mare, aumentare la nostra resistenza ai cambiamenti climatici e proteggere la vita e il benessere di miliardi di persone», aggiunge.

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