Il presentimento della mamma di Alessandro Parini mentre lo portava in aeroporto: «Gli avevo detto di non partire». Così lui la tranquillizzava

I timori di Nicoletta Ciocca sul viaggio di due giorni del figlio in Israele

«Dove diavolo vai?», diceva la madre di Alessandro Parini mentre lo portava in aeroporto da dove sarebbe poi partito quella mattina di venerdì scorso per Tel Aviv. Nicoletta Ciocca aveva paura per l’incolumità di suo figlio diretto in una città già scossa da tensioni da settimane e durante il tragitto gli aveva detto più volte di non partire. «L’ho accompagnato io», conferma la donna sconvolta dal dolore, citata dal Corriere della Sera. «Alessandro era contento di partire per Israele», racconta fuori dalla sua abitazione a Roma, non lontano dalla basilica dei Santi Pietro e Paolo e dall’Eur. A ricordare la preoccupazione della donna è anche Annamaria Mazzoni, moglie di Claudio Mazzoni, amico fraterno del padre di Parini, con il quale condivide uno studio legale: «La mamma era preoccupata per questo viaggio di due giorni – dice al Corriere – c’erano stati già attentati in Israele, poi l’attacco con i missili. Ma lui l’ha tranquillizzata: li intercettano, che problema c’è?». Coccia spiega di aver deciso di restare a Roma dopo l’invito della Farnesina: «Penseranno a tutto loro, ci hanno spiegato, da qui abbiamo fatto tutto quello che era possibile. Adesso speriamo solo che le procedure siano veloci. Mio figlio era cresciuto all’Eur, ma era un viaggiatore»


Il ricordo del padre

«Un ragazzo semplice, riservato e modesto», ricorda il padre Enzo Parini che piange Alessandro assieme al figlio minore, Federico, giocatore del Fiumicino Calcio. Queste erano le qualità che lo distinguevano nel mondo dell’avvocatura, dove si stava facendo strada in modo brillante. Anche se «i traguardi raggiunti li conosceva solo Alessandro, perché era fatto così. Non si è mai vantato di qualcosa, non si è mai montato la testa». È stato proprio il padre, la notte della morte, a dare la notizia agli amici di sempre Claudio e Annamaria, con cui condivide lo studio legale ai Parioli. «Stavamo andando a dormire e quando è arrivata questa telefonata ci è preso un accidente — racconta la donna citata da la Repubblica — Enzo era disperato, gridava: “C’è qualcosa di peggio? C’è qualcosa di peggio?”. Io non credo. Non c’è niente di peggio».


I messaggi degli amici

Al dolore dei genitori si unisce quello di chi Alessandro lo vedeva ogni giorno o quasi. «Faceva jogging tutti i sabato pomeriggio e andava in mountain bike», racconta un vicino di casa; «Non gli mancava mai il sorriso quando arrivava in ufficio», sottolinea Andrea, il portiere del palazzo ai Parioli, dove Alessandro lavorava per lo studio Police&Partners. Struggenti anche i messaggi lasciati sulla porta della casa di Alessandro, a Monteverde. «Hai sempre saputo dove andavo a ripararmi quando il mondo mi faceva male, scrive un’amica in un bigliettino. E ogni volta che ci andavo, tu eri già lì. Oggi devo pensare che ci sarai comunque. Ti sento nelle orecchie e nella testa, con la tua pacatezza e la capacità di calmarmi. La stessa che poco prima di accompagnarmi all’altare ti ha fatto dire “Ti si è aperto il vestito, ma ti copro”. Mi hai sempre coperto le spalle. In periodi di guerra e di pace. Mi hai insegnato cosa significa avere un fratello non di sangue», continua la lettera.

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