La polizia israeliana sulla morte di Alessandro Parini: «Ucciso dall’impatto con l’auto. Atto premeditato: ha accelerato davanti ai turisti»

Sia la polizia che l’istituto di medicina legale Abu Kabir confermano che nel corpo dell’avvocato non c’erano proiettili, mentre sempre più dettagli smentiscono la tesi del colpo di sonno sostenuta dalla famiglia del conducente

È stato l’impatto con l’auto condotta dall’arabo-israeliano Yousef Abu Jaber a uccidere Alessandro Parini, e non un i proiettili esplosi nel panico dell’evento, come invece era stato riportato nelle scorse ore. Questa mattina l’istituto di medicina legale Abu Kabir aveva smentito il dettaglio e ora lo confermano fonti della polizia – citate da Haaretz – che hanno effettuato l’autopsia sul corpo del giovane avvocato romano. Nessun proiettile né in punti vitali né alla gamba. Sulla salma, invece, sono state trovate ferite compatibili con l’impatto violento contro la Kia bianca. La polizia di Te Aviv, inoltre, ha escluso l’ipotesi dell’incidente stradale. Piuttosto, pare sicuro che l’attentatore abbia agito in modo premeditato, scagliandosi intenzionalmente contro la folla, e nello specifico, il gruppo di amici italiani nei quali si trovava anche Parini. Viene meno, quindi, la tesi della famiglia di Abu Jaber, secondo la quale l’uomo avrebbe sofferto un colpo di sonno.


La dinamica dell’incidente

Nello specifico, diversi elementi non coincidono. Le indagini della polizia rivelano che l’attentatore ha guidato ad alta velocità fin dal suo luogo di residenza, la città collinare araba di Kafar Kassem, verso il lungomare di Tel Aviv. Un dettaglio che aggrava la posizione dell’uomo che – riferisce la polizia ribadendo l’intenzionalità – «ha rapidamente manovrato tra i blocchi di cemento sui marciapiedi per raggiungere di proposito la pista ciclabile e colpire quante più persone possibile». Inoltre, «mentre guidava all’impazzata – ha aggiunto – ha intenzionalmente accelerato e ha colpito un gruppo di persone. Ha poi continuato ad accelerare e ha colpito ancora un altro gruppo», spiega la polizia.


I medici legali: «Nessun proiettile»

Non c’era stato nessun proiettile sul corpo di Alessandro Parini, ucciso sul lungomare di Tel Aviv lo scorso venerdì sera. Secondo l’Istituto di medicina legale di Abu Kabir ha smentito il dettaglio inizialmente riportato come riferiva il Corriere della Sera secondo cui sarebbe stato trovato un proiettile nella gamba dell’avvocato 35enne. Sul corpo dell’avvocato 35enne di Roma non è ancora stata effettuata l’autopsia, e secondo l’istituto israeliano non è ancora certo che sarà svolta. Nei primi momenti convulsi dopo che Parini era stato travolto da un’auto sul lungomare di Tel Aviv, i media locali, ricorda il Corriere della Sera, avevano citato un soccorritore che aveva parlato di ferite da arma da fuoco, anche alla testa.

All’inizio infatti l’allarme scattato via social parlava di un attacco terroristico con un mezzo scagliato contro i civili, con spari sulla folla. Un amico che era con l’avvocato romano 35enne sentito dall’Ansa aveva detto: «Abbiamo sentito il rumore dell’auto che ci passava accanto, poi gli spari e ci siamo dispersi. Quando siamo tornati indietro, abbiamo visto Alessandro steso a terra nel sangue». Gli spari erano quelli di un poliziotto in borghese e di una guardia municipale, che sono riusciti a circondare l’uomo alla guida della Kia bianca dopo che questo è strisciato fuori dall’auto. È lì che lo avrebbero «neutralizzato» dopo averlo visto avvicinare la mano verso un’arma, che poi si rivelerà un fucile automatico giocattolo.

Il sospetto attentatore

I famigliari di Yusef Abu Jaber, il 45enne arabo-israeliano alla guida dell’auto che ha ucciso Parini, assicurano che si sia trattato di un incidente. Il fratello al sito Ynet ha commentato le immagini diffuse dalle telecamere di sicurezza convinto che non si sia trattato di un attentato terroristico: «Per quattro giorni e per quattro notti Yusef non aveva dormito. Può darsi si sia addormentato e abbia perso il controllo dell’automobile». Il fratello di Yusef Abu Jaber anzi sostiene che si vede dalle immagini come il 45enne avesse anche tentato di evitare i passanti. Sull’uomo non risulterebbero al momento legami con la Jihad islamica, che ha rivendicato l’attacco. Aveva sei figlie ed era nonno. In passato aveva gestito un negozio di giocattoli nella città araba di Kfar Kassem (a nord-est di Tel Aviv). Due anni prima aveva lavorato con la moglie come addetto alle pulizie in un liceo vicino Tel Aviv.

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