«Zero tasse per chi fa figli». Come funziona e quanto può valere il piano-shock preannunciato dal ministro Giorgetti

Il progetto anticipato dal ministro al “Foglio” potrebbe generare 1.900 euro di risparmi annui per famiglia. Eppure agli elettori di destra non suonerà così nuovo

Zero tasse per chi fa figli. È la proposta shock cui starebbe pensando il governo per contrastare la denatalità, secondo quanto riferito stamattina dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti al Foglio. Un’idea tanto dirompente quanto vaga, al momento. «Presentare entro l’anno un bonus famiglie modello “110 per cento” pensato per i genitori con figli: i nuclei famigliari composti da due figli non pagheranno le tasse», è il cuore del proposito riportato di Giorgetti, secondo il quale l’esecutivo è chiamare a fare «una proposta politica per il futuro che parta da quella che è la nostra crisi più profonda». Ma in cosa consisterebbe l’idea del governo, o più propriamente del suo guardiano dei conti, e quanto c’è di nuovo rispetto ai progetti già annunciati al taglio del nastro di partenza? Vediamo.


Non solo assegno unico

Fonti vicine al ministro dell’Economia confermano a Open che l’intento, al momento, è essenzialmente politico: quello di dare un segnale, lanciando un sasso nello stagno, sulla necessità di investire in modo massiccio sulla natalità, perché «senza figli non c’è futuro». I dettagli e i numeri verranno più in là (in sede o in vista della prossima legge di bilancio, pare di capire). Così si spiegherebbe l’uscita a mezzo stampa, ambiziosa ma parca di dettagli. Eppure qualche elemento – tra le righe dei propositi di Giorgetti e dei suoi colleghi di governo leghisti che gli hanno replicato – già s’intravede. Il primo, e più importante: dopo un primo intervento di natura retributiva sul principale strumento esistente – con l’aumento degli importi mensili dell’assegno unico per per i genitori con redditi medio-bassi – il governo pensa ora a un nuovo e più ampio piano, pienamente “suo”, fondato sulla leva fiscale. I guadagni per le famiglie, insomma, proverrebbero in questo caso direttamente sotto forma di tasse in meno da pagare.


Lo ha spiegato, con tanto di numeri, il sottosegretario leghista Massimo Bitonci, anche se non è chiaro fino a che punto la sua proposta e quella di Giorgetti siano al momento allineate. «Per incentivare la natalità diventa necessario ridurre la tassazione per le famiglie con uno o più figli a carico. Questo non significa abbandonare l’assegno unico ma, oltre a questo, si dovrebbe reintrodurre una detrazione di 10.000 euro l’anno per ogni figlio a carico (ora 950 euro fino ai 21 anni) fino al termine degli studi anche universitari, per tutti i nuclei senza limiti di reddito». Lo ha confermato anche il collega di partito Massimo Garavaglia, che guida la commissione Finanze del Senato, secondo il quale «la proposta del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti reintrodurrebbe una detrazione di 10 mila euro l’anno per ogni figlio a carico, per tutti e senza limiti di reddito, fino alla conclusione del percorso di studi. Una misura che si sommerebbe all’assegno unico, favorendo però i nuclei più numerosi».

Figli a carico dello Stato?

Ammesso e non concesso che una misura del genere sia sostenibile, «per tutti e senza limiti di reddito», per le casse dello Stato – o meglio, in attesa di lumi sulle fonti di finanziamento di un tale piano – vanno decriptate le parole dei due emissari leghisti per provare a “mettere a terra” il loro impatto su una famiglia tipo. La «detrazione di 10mila euro l’anno» per ogni figlio a carico – in realtà a partire dal secondo, è uno dei pochi punti messi in chiaro al momento da Giorgetti – ben difficilmente può intendersi come un risparmio secco per i (futuri) genitori di 10mila euro sonanti (il debito pubblico già a livelli di guardia impazzirebbe). È da desumersi invece che Bitonci e Garavaglia alludano a una detrazione fiscale annuale su un tetto d’imposta pari a 10mila euro. Ipotizzando l’applicazione dell’aliquota “classica” per le spese per i figli a carico del 19%, questo significherebbe dunque un risparmio netto di 1.900 euro l’anno per famiglia.

Tradotto, poco più di 158 euro in più disponibili ogni mese. Che andrebbero ad aggiungersi, come tengono a ricordare gli esponenti di governo, a quelli versati dall’Inps sotto forma di assegno unico: dai 50 ai 175 euro al mese, per i figli fino ai 18 anni di età, a seconda dello status reddituale-patrimoniale (Isee) del genitore richiedente. Se questa fosse la strada intrapresa dal governo, insomma, ogni figlio a partire dal secondo potrebbe “valere” in termini di maggior reddito disponibile da poco più di 200 a circa 333 euro al mese. Abbastanza per dare finalmente la scossa ai troppi non-genitori italiani, o a chi si ferma per ragioni di budget a un solo bimbo? Difficile dirlo, e prematuro vista l’indeterminatezza allo stato delle proposte. Ma il confronto si può fare eccome, invece, con i progetti pre-elettorali della maggioranza – o meglio, del suo partito-guida.

Il programma di governo di Meloni e il derby Lega-FdI

Un intervento radicale sul tema della natalità tramite la leva fiscale in realtà dovrebbe suonare come una novità eclatante fino a un certo punto, almeno per gli elettori di destra-centro. Tale proposta infatti, figurava, anche se sotto altre vesti, già nel programma di governo di Fratelli d’Italia. Di più, ne era il proposito cardine d’apertura. «Progressiva introduzione del quoziente familiare, cioè di un sistema di tassazione che tenga conto del numero dei componenti del nucleo familiare», era la prima idea che figurava sotto la missione 1 del programma – “Sostegno alla natalità e alla famiglia”. Che proseguiva mettendo nel mirino l’«aumento degli importi per l’assegno unico e universale: fino a 300 euro al mese per il primo anno di ogni figlio, fino a 260 euro dal secondo anno di vita fino ai 18 anni e mantenimento dell’attuale assegno fino a 21 anni». Quella soffiata oggi nel dibattito pubblico dalla Lega, insomma, ha tutta l’aria di una “variante sul tema” rispetto all’asse portante di riforma progettato dal partito della premier Giorgia Meloni. L’introduzione del quoziente famigliare sarebbe esso stesso un potente scossone fiscale in grado di generare corposi benefici per le famiglie al crescere del numero di figli.

In sostanza, l’idea è quella di ricalibrare il conteggio dell’imposizione fiscale per famiglia, e non per singoli genitori, attribuendo un quoziente di sconto fiscale crescente rispetto al numero di figli. In Francia, dove il sistema è stato implementato nella maniera più organica ed efficace – tanto da permettere di alzare il tasso di natalità in vicinanza di quello di riproduzione, all’1,83 (l’Italia è ferma all’1,24) – il sistema prevede anche l’azzeramento di ogni considerazione di tipo patrimoniale nel calcolo delle imposte: l’unico parametro-guida è quello dei redditi cumulati dai due genitori. In questo modo, Oltralpe le famiglie ricevono in media tra i 200 e i 350 euro di benefici fiscale per ciascun figlio a carico. È a risparmi del genere che ambisce Fratelli d’Italia nel tradurre operativamente – bilancio permettendo – il suo programma? Se sì, la proposta odierna della Lega impallidirebbe improvvisamente. Il derby tra i due alleati-rivali di governo per intestarsi la sfida della lotta alla denatalità è appena cominciato.

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