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Emanuela Orlandi, il Vaticano e tutte le fragili “piste religiose”: Papa Wojtyla, Marcinkus, l’Alto prelato

emanuela orlandi pista religiosa marcinkus wojtyla (2)
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Da tempo si rincorrono le tesi che vogliono la Chiesa coinvolta nel rapimento e/o nell'omicidio della cittadina vaticana. Da Marcello Neroni al Cardinale Oddi fino alla nota spese della Santa Sede. Una piccola rassegna

Non solo Papa Wojtyla. Anche se oggi è Giovanni Paolo II a finire nella vicenda di Emanuela Orlandi, negli anni molte piste d’indagine sulla scomparsa della “Vatican Girl” hanno sfiorato o colpito in pieno la Santa Sede. Portando “alla sbarra” (mediatica) di volta in volta semplici religiosi, cardinali e “alti prelati”. Senza che naturalmente siano state mai riscontrate. Oltre a Karol Wojtyla tra gli accusati è finito anche monsignor Paul Marcinkus. Accusato prima di essere “l’Amerikano” che chiamava in casa degli Orlandi e in Vaticano. E poi addirittura di aver preso e violentato la ragazzina insieme a “Renatino”, ovvero Enrico De Pedis. Mentre direttamente da Oltretevere sono comparse due altre piste: quelle della presunta “nota spese” ai tempi di Vatileaks e quella della telefonata del superiore al Sovrastante della Gendarmeria.

Il caso di Marcello Neroni

La più “fresca” delle piste sulla scomparsa di Emanuela Orlandi si rifà al nome di Marcello Neroni. In una conversazione registrata nel 2009 da Notte Criminale Neroni, oggi ultraottantenne, parla della sepoltura di Enrico De Pedis a Sant’Apollinare. E accusa il Papa: «Wojtyla… (audio censurato)… pure insieme se le portava a letto, se le portava, non so dove se le portava, all’interno del Vaticano». A quel punto, secondo Neroni, il segretario di Stato Agostino Casaroli avrebbe deciso di intervenire: «Lui essendo esperto del carcere perché faceva il cappellano al riformatorio, si è rivolto ai cappellani del carcere. I cappellani del carcere uno era calabrese, un altro un furbacchione. Un certo Luigi, un certo padre Pietro, non hanno fatto altro che chiamare De Pedis e gli hanno detto “sta succedendo questo, ci puoi dare una mano?”». Neroni, che compare nell’ordinanza Colosseo come sodale di De Pedis, è descritto anche come un delatore con tanti amici nei servizi segreti.

Pietro Orlandi a DiMartedì

Ospite a Dimartedì da Giovanni Floris su La7, il fratello di Emanuela Pietro Orlandi parla dell’audio di Neroni e poi racconta delle notti fuori dal Vaticano di Karol Wojtyla che «insieme a due monsignori polacchi non andava certo a benedire le case». La circostanza delle uscite serali del papa polacco è storicamente determinata, ma all’interno di quel contesto diventa accusatoria. Successivamente Orlandi chiede alla magistratura di ascoltare Neroni. E precisa a Verissimo: «Non mi sono mai scusato perché non ho mai offeso nessuno. Io ho riportato un audio, non c’erano parole mie ma di un componente della banda della Magliana che fa dichiarazioni pesanti su Papa Wojtyla e la questione legata a Emanuela». E ancora: «Hanno voluto legare le mie parole sulle uscite notturne, di cui tutti in Vaticano erano a conoscenza e non sono mai state ritenute una cosa grave, alle parole del componente della banda per creare una polemica».

Cosa c’entra Wojtyla con Emanuela Orlandi?

Wojtyla è il papa che il 3 luglio 1983 da piazza San Pietro portò all’attenzione del mondo la scomparsa di Emanuela Orlandi con un appello ai rapitori durante l’Angelus. Il papa polacco ha successivamente reiterato per altre sette volte l’appello al rilascio della cittadina vaticana. Ma secondo la sentenza della giudice Adele Rando nessuna delle piste che collegavano la 15enne al destino di Ali Agça è mai stata sensata. Si è trattato in ogni caso di depistaggi. Anche perché i vari fronti Turkesh, Phoenix e altri che inviavano messaggi all’epoca non ha mai dato la prova di avere con sé Emanuela Orlandi. Nel giorno della scomparsa della cittadina vaticana Wojtyla era in viaggio in Polonia. Mentre la tesi che si sia adoperato per risolvere la scomparsa allo scopo di allontanare eventuali sospetti sul suo presunto ruolo è da considerare più scemenza che fantascienza, in assenza di riscontri fattuali.

L’Alto prelato

La variante dell’”Alto prelato” è invece tornata in auge grazie al documentario andato in onda su Netflix. Mark Lewis fa parlare un’amica dell’epoca che non ha mai parlato con i magistrati sostiene che la ragazza le rivelò di aver ricevuto «attenzioni» da un «alto prelato» prima di sparire. Si parla di «un approccio all’interno delle Mura vaticane che turbò moltissimo Emanuela proprio alla vigilia della sua scomparsa». C’è però un problema. Mentre nel documentario si fa capire che questo discorso tra l’amica e Orlandi c’è stato qualche giorno prima della sua scomparsa, la stessa testimone ha detto a Tommaso Nelli (che ne ha parlato nel libro “Atto di dolore”) retrodata questo episodio a gennaio 1983. E la differenza è evidente: se l’episodio si è verificato qualche giorno prima della scomparsa, le possibilità che le due cose siano collegate ci sono. Se risale a sei mesi prima, scendono vertiginosamente.

Monsignor Marcinkus

Anche le accuse a monsignor Paul Marcinkus non sono una novità. L’ex presidente dello Ior (Istituto delle opere religiose), deceduto nel 2006, avrebbe incontrato Emanuela Orlandi nei giorni successivi alla sua sparizione avvenuta a Roma il 22 giugno giugno del 1983. A sostenerlo è stata quella che per un certo periodo è stata indicata come la “supertestimone” del caso, ovvero Sabrina Minardi. Ex moglie del calciatore Bruno Giordano, è a casa sua che venne arrestato De Pedis. Secondo Minardi Emanuela era stata rapita per ordine di Marcinkus e fu ospite da lei, in una villetta a Torvaianica. «Doveva restare soltanto un giorno ma restò 15 giorni e venne assistita da una zia di Renatino, tal Adelaide». Nelle motivazioni dell’archiviazione delle ultime indagini su Emanuela Orlandi il giudice Giovanni Giorgianni ha spiegato che Minardi è inattendibile: ha cambiato in molte occasioni le sue dichiarazioni, si è contraddetta, ha chiamato in causa persone con alibi di ferro (una di queste era in carcere all’epoca dei fatti), non ha riconosciuto luoghi da lei stessa indicati.

Il cardinale Oddi e il ritorno a casa di Emanuela

In un’intervista rilasciata a Il Tempo nel luglio del 1993 il cardinale Silvio Oddi racconta una voce che fa riferimento alle ultime ore di Emanuela Orlandi: «Posso dire solo quello che a suo tempo ascoltai in ambiente ecclesiastico e che molti sanno. Emanuela quel pomeriggio, finita la lezione di musica, tornò a casa, all’interno della Città del Vaticano. Fu vista arrivare a bordo di un’automobile di lusso, che non attraversò la soglia di Sant’Anna, restando ferma all’esterno, su via di Porta Angelica». Si tratta in realtà di una circostanza mai riscontrata in alcun modo. Se ci sono davvero testimoni del ritorno a casa di Orlandi, questi fino ad oggi non hanno mai parlato.

La nota spese del Vaticano

Il 18 gennaio 2010 un’informativa della polizia giudiziaria segnala che «Sabrina Minardi sta cercando in tutti i modi di ricavare un guadagno dalle sue dichiarazioni fatte ai media in ordine alla scomparsa di Emanuela Orlandi». Il criminologo Francesco Bruno ha redatto negli anni Ottanta un identikit di uno dei telefonisti del caso Orlandi. Anche quello scritto chiamava in causa, senza nominarlo, Marcinkus. Poi c’è la storia della nota spese. Il 22 settembre del 2017 Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera ed Emiliano Fittipaldi su Repubblica raccontano di una lettera di cinque pagine, datata marzo 1998 inviata dal cardinale Lorenzo Antonetti, allora capo dell’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), ai monsignori Giovanni Battista Re e Jean-Louis Tauran. Il titolo è “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo stato città del vaticano per le attività relative alla cittadina emanuela orlandi (roma 14 gennaio1968)“.

Il documento

Si presenta come «un documento di accompagnamento a una serie di fatture e materiali allegati di quasi duecento pagine che comproverebbero alla segreteria di Stato le spese sostenute per Emanuela Orlandi in un arco di tempo che va dal 1983 al 1997». Dice che la Santa Sede ha speso in totale 483 milioni. E promette 197 pagine di allegati con le fatture. Che però non ci sono. Il documento proviene dall’archivio di monsignor Lucio Vallejo Balda, protagonista del caso Vatileaks 2. Contiene degli errori nell’intestazione e nella scrittura di uno dei due nomi dei cardinali chiamati in causa. Antonetti e Tauran sono morti. Giovanni Battista Re ha oggi 89 anni. E purtroppo l’unica cosa che lo renderebbe credibile sono le ricevute, che si potrebbero riscontrare. Ma proprio quelle mancano.

Mirella Gregori e il sovrastante Bonarelli

Mirella Gregori è “l’altra Emanuela”. Scomparsa un mese prima della cittadina vaticana, il suo caso è stato collegato fin dal 1983 a quello di Orlandi. Nel messaggi deliranti mandati a giornali e polizia i rapitori la citavano insieme a Emanuela. Nel 1985 la madre di Mirella Maria Vittoria Arzeton incontra il sovrastante vaticano Raoul Bonarelli durante una visita del papa alla sua parrocchia. Lo riconosce come una persona che aveva visto sedersi al bar con la figlia e un’amica. Bonarelli abita dalle parti in cui si trova l’esercizio, sulla Nomentana. Nel 1993 Arzeton viene messa a confronto con Bonarelli. Ma, a sorpresa, dice di non essere più sicuro che si tratti della stessa persona. Nel frattempo la polizia mette sotto controllo il telefono di Bonarelli. Il quale, il giorno prima dell’audizione, riceve una telefonata dal suo superiore. Che gli dice: «Che sai di Orlandi? Niente. Che ne sappiamo noi? Non dirlo che è andata alla Segreteria di Stato». I magistrati iscrivono Bonarelli nel registro degli indagati per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione e favoreggiamento personale. La sua posizione viene archiviata nel febbraio 2009.

Salita Monte del Gallo

Il giornalista Pino Nicotri nel libro “Emanuela Orlandi – La verità dai Lupi Grigi alla Banda della Magliana” racconta di un segreto conosciuto durante una confessione da una fonte che frequentava all’epoca il Vaticano. Emanuela Orlandi sarebbe morta la sera stessa della sua scomparsa durante un “festino” che avrebbe avuto luogo in Salita Monte del Gallo, a due passi dal Vaticano e vicino alla stazione ferroviaria di San Pietro. In questo caso la circostanza non è mai stata approfondita in sede giudiziaria. In una delle telefonate dell’Amerikano si sente il fischio di un treno. Su Youtube è poi popolare un’altra teoria che vuole Emanuela Orlandi vittima dell’adescamento da parte di una banda che rifornisce di baby prostitute (drogate e ridotte a non avere più volontà) proprio il Vaticano. Secondo questa tesi Emanuela viene reclutata con la scusa della finta Avon ma all’adescatore non dice il suo vero nome né l’indirizzo. Viene quindi portata nella Santa Sede e lì viene riconosciuta e uccisa per non farla parlare successivamente.

La scomparsa

Tutte queste “tesi” (o teorie del complotto in assenza di riscontri), per avere un qualsivoglia valore dal punto di vista investigativo, devono però riuscire a congiungersi con l’unica circostanza reale finora presente nel caso di Emanuela Orlandi. Che scompare poco dopo le 19 del 22 giugno del 1983 dopo aver chiamato a casa la sorella Federica. La 15enne si reca alla fermata dell’autobus 70 ma non sale perché il mezzo è troppo pieno. Rimane con una compagna di scuola e si incammina di nuovo verso il senato. La compagna si volta indietro e nota che si è attardata. A un certo punto non la vede più. La zona è quella adiacente a piazza Navona, a due passi c’è il Senato, non lontano è Campo de’ Fiori. È una zona frequentatissima oggi come allora. E la ragazza, secondo quanto dicono i parenti, non era certo solita accettare passaggi da sconosciuti. Se è quindi scomparsa in quella circostanza, lo ha fatto perché è andata con qualcuno di cui si fidava.

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