Alex Pompa: «Ho dovuto uccidere mio padre perché rischiavo la morte come Gessica Malaj»

Il ragazzo in attesa del verdetto del processo d’appello a Torino traccia un parallelo con il caso di Torremaggiore

Alex Pompa ha ucciso il padre Giuseppe il 30 aprile 2020 a coltellate a Collegno in provincia di Torino. Lo ha fatto per difendere la madre ed è stato assolto dal tribunale in primo grado. Nel processo d’appello la procura ha chiesto per lui 14 anni di reclusione perché secondo i pm la sua non fu legittima difesa. Oggi è in Erasmus in Spagna in attesa della sentenza. E in un’intervista a La Stampa rievoca la vicenda di Gessica Malaj, uccisa dal padre Taultant per errore a Torremaggiore mentre lei cercava di difendere la madre. In Puglia si indaga anche su altri motivi che avrebbero spinto il padre a uccidere la figlia. E la madre Tefta ha detto alla tv albanese che il padre molestava la figlia.


Il padre violento

Oggi Pompa è in attesa di giudizio: «Sono sospeso. Se la sentenza di assoluzione si ribalta è una sconfitta per tutti. Io ho fatto ciò che ho fatto soltanto per difesa. Se non lo avessi fatto non sarei qui, e mia mamma sarebbe morta». È proprio Alex a costruire un parallelo tra quanto accaduto in provincia di Foggia e la sua vicenda. Suo padre era «un uomo ossessivo, morboso, violento. E i fatti di cronaca raccontano una verità spietata: gli uomini così prima o poi uccidono». La storia di Torremaggiore «è uguale alla mia e a quella di tante altre. Era scontato che finisse così: se vivi con una persona violenta, gelosa, morbosa, che controlla la tua vita, stai andando incontro alla morte». Era così anche a casa sua: «Papà controllava tutto. Le poche volte che la mia fidanzata è venuta a mangiare da noi, prendevamo soltanto una pizza da asporto, niente altro, mai cucinato nulla in casa».


Una tragedia familiare

E questo perché se lui rientrando avesse visto un piatto in più sarebbero stati guai: «Spiegare era inutile. Lo faceva diventare ancora più violento». Alex racconta un aneddoto che riguarda il fratello: «Una volta disse no al calcio, lui lo picchiò malamente e poi gli bucò il pallone con un coltello». Dice che in famiglia non guardavano mai programmi giornalistici perché «Avevamo paura che si parlasse di femminicidi o stragi in famiglia e che lui le emulasse. Se lui sapeva di una donna ammazzata diceva se l’è meritato quella puttana». Dice che adesso lui si sente «un ragazzo normale. Che studia, che vuole cose normali: lo studio, un lavoro, la fidanzata. Un po’ di serenità per me, mio fratello e mamma». Con lo zio, che avrebbe potuto fermare tutto «non ci parliamo più. E va bene così. Io ho la mia montagna da scalare. E spero che lassù ci sia un po’ di pace. Solo quello. Voglio solo quello».

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