Il valore di Twitter più che dimezzato da quando l’ha comprato Elon Musk: il tonfo nei conti di un investitore

Il fondo Fidelity possedeva 20 milioni di dollari in azioni di Twitter quando il miliardario ne ha preso la proprietà. Oggi secondo il loro report trimestrale quelle azioni valgono appena 6,6

Il valore di Twitter è oggi appena un terzo di quello pagato da Elon Musk per l’acquisto del social network lo scorso ottobre, quando il miliardario aveva pagato 44 miliardi di dollari per assicurarsi la piattaforma, dopo un tira e molla durato settimane. A renderlo noto è uno degli investitori rimasti in questi otto mesi, il gruppo finanziario Fidelity nel proprio report sui risultati finanziari trimestrali citato dal Guardian. Il gruppo, al momento della transazione, possedeva 20 milioni di dollari in azioni di Twitter. Oggi, valgono appena 6,6. Un calo drastico che arriva dopo grandi modifiche volute dal nuovo proprietario al funzionamento e alla struttura interna del social. Dei 44 miliardi iniziali, quindi la società che oggi si chiama X Holding Corp varrebbe solo 14,75 miliardi di dollari. Fidelity investe in una serie di società negli Usa e nel mondo, puntando a compagnie famose con valutazioni stabili. Tra gli altri investimenti ci sono anche quelli in SpaceX, la società aerospaziale di Musk, in cui il fondo ha messo 386 milioni di dollari, mentre in Tesla ha investito 849 milioni.


I cambiamenti di Musk

Dal suo arrivo, Musk ha introdotto drastici cambiamenti nella compagnia, nel tentativo di rientrare dall’acquisto monstre e di rendere Twitter un luogo dove regni la «libertà di parola» come intesa dal patron di Tesla. In circa 10 ondate, il miliardario ha licenziato circa il 70% dei dipendenti di Twitter. Tra questi anche molti membri del dipartimento di moderazione dei contenuti, causando un conseguente aumento delle fake news e dei contenuti d’odio che circolano sul social network. Questo, unito alla spostamento a destra della politica della piattaforma e al nuovo sistema di spunte che non indica più una mera verifica degli account, ha fatto sì che molti inserzionisti pubblicitari si ritirassero. Vanificando buona parte dei guadagni ottenuti dai licenziamenti e dai nuovi abbonamenti, ricorda la testata britannica.


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