Nave turca a Napoli, il capo della Marina si difende: «Abbiamo fatto il nostro dovere, non sapevamo chi ci saremmo trovati davanti»

Il capo di Stato maggiore della Marina Enrico Credendino dà la sua versione dei fatti

A distanza di giorni, continuano le polemiche sulla storia della nave turca in presunto ostaggio di migranti nel golfo di Napoli. In un primo momento, era stato il ministro della Difesa Guido Crosetto a parlare di «tentativo di dirottamento e sequestro dell’equipaggio da parte di 15 migranti clandestini». Ieri, la versione della procura di Napoli, che reputa improbabile che ci siano state minacce, aggressioni o dirottamenti. Oggi, a difendere l’operato dei militari è Enrico Credendino, capo di Stato maggiore della Marina militare, sulle pagine di Libero: «È facile fare polemica stando seduti a casa. Noi abbiamo fatto come sempre il nostro dovere, in silenzio e con efficacia», spiega l’ammiraglio.


Nell’intervista al quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, Credendino ricostruisce ciò che è successo la mattina del 9 giugno: «Abbiamo ricevuto alle 11:04 un’urgente richiesta di soccorso inoltrata dall’Italia Rescue Coordination Centre, da parte di Acarkan Okali, comandante della motonave Galata Sea Ways, battente bandiera turca, che si trovava in acque internazionali». L’intervento richiesto dall’equipaggio della nave, prosegue Credendino, «era motivato dalla presenza a bordo del mercantile di 15 clandestini, di cui due armati con armi da taglio. Immediatamente è stato disposto l’intervento di una squadra di abbordaggio della Brigata marina San Marco». A chi si chiede se fosse davvero necessario intervenire con un numero così ingente di mezzi e di uomini, l’ammiraglio precisa che il compito della Marina è di mettersi «nella condizione peggiore, non sapendo chi ci troviamo davanti». In quanto, spiega Credendino, «possono essere migranti, terroristi, pirati o delinquenti comuni».


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