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La storia di Salt Bae, dall’inizio come lavapiatti alla carne ricoperta d’oro: «L’extra per il taglio al tavolo? Voglio far star bene i miei clienti»

17 Giugno 2023 - 06:19 Redazione
salt bae gesto sale
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L'imprenditore con 32 ristoranti si racconta: dal gesto di spargere il sale ai «23 figli, uno all'anno»

Nusret Gökçe, conosciuto come Salt Bae, è il macellaio più ricco del mondo. Imprenditore con 32 ristoranti e 4 mila dipendenti, è diventato una star grazie al gesto di spargere il sale (e l’acronimo Bae significa “Before anyone else”). E oggi si racconta in un’intervista al Corriere della Sera: «A casa mia carne non se n’è mai vista, eravamo così poveri che a tavola c’erano solo una fetta di pane e un pomodoro», esordisce. Ora invece è «un imprenditore che da 26 anni lavora ogni giorno, il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene. Non ho mai fatto vacanze, dormo poco la notte. Business never sleeps».

Il gesto di spargere il sale

Il gesto che lo ha reso famoso, ovvero quello di spargere il sale, «è un qualcosa che proviene dal cuore, il mio timbro. Un po’ come Ronaldo quando fa il “siuuu” dopo un goal», dice a Michela Proietti. «Nel 2017 Instagram ha reso virale il gesto del sale: un cameriere mi ha fatto un video e lo ha postato. La mattina dopo milioni di follower mi chiamavano Salt Bae». Il successo lo ha ottenuto tagliando la carne: «In Turchia non esistevano steakhouse: ho chiesto al capo di andare in Argentina, per capire quel modo di tagliare la carne. Ha detto no: con i risparmi ho preso un volo scontato per Buenos Aires e sono rimasto lì per 6 mesi. Sono andato al consolato turco e ho detto: “Voglio imparare”. Non sapevo né l’ inglese, né lo spagnolo: al ritorno a Istanbul la gente parlava solo di me e il mio capo mi ha licenziato». A quel punto è andato negli Stati Uniti: «Tagliavo la carne nel ristorante di un turco. Gli dicevo: “Non sono in vacanza, un giorno aprirò io a New York”».

Un ristorante a Milano

Era un aiuto-lavapiatti. Poi al suo business ha creduto l’uomo d’affari Mithat Erdem. Che ha aperto il suo primo locale: «Gli ho detto: “Il mio nome è il brand”. La «et» finale di Nusret, in turco, significa carne». E da lì tutto è cominciato: «In poco tempo ho “ripagato” la mia metà. Lavoravamo senza sosta 12 ore al giorno e portavo a dormire a casa mia il personale, avevo paura che il giorno dopo non si ripresentassero». E la crescita: «Grazie all’ingresso di Ferit Sahenk, un magnate turco che è anche mio socio, abbiamo aperto ristoranti dappertutto». Stati Uniti, Qatar, Emirati Arabi e Mykonos. In Italia «vorrei aprire a Milano ma non c’è il posto giusto. Sono alla ricerca di un locale su strada: non voglio un ristorante in cima a un grattacielo, come tutti».

La Coppa del Mondo

Riguardo le critiche dei dipendenti dice che «sono solo fake news». Mentre l’extra per il taglio di carne al tavolo parrebbe vero: «Fare star bene i clienti per me conta più dei soldi. Chi si siede al ristorante è un ospite d’onore. Sia che ordini un burger o la golden ottoman». Iinvece quella ricoperta d’oro è «carne di altissima qualità: gli animali hanno ascoltato musica, sono stati massaggiati. È il prezzo giusto». E le donne nel suo staff? «Ne formiamo molte alla Academy di Istanbul, con stage retribuiti». Infine, il gesto di prendere in mano la Coppa del Mondo: «Non sapevo che fosse vietato. Credo che lo ignorassero in tanti e oggi grazie a me sappiamo una cosa nuova». Mentre quella dei 13 figli è una bufala: «Ne ho 23, uno all’anno. Ma sono single. Ho una vita troppo in movimento per la vita di coppia».

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