Alluvione, il sindaco di Ravenna De Pascale: «Pochi i fondi arrivati e non c’è certezza sul futuro» – L’intervista
Al Consiglio dei ministri previsto per oggi pomeriggio, dovrebbero arrivare novità anche sull’emergenza alluvione in Emilia Romagna e, soprattutto, sulla nomina del commissario alla ricostruzione, oggetto di polemiche all’interno della maggioranza e con le opposizioni. Il sindaco di Ravenna e presidente della provincia (oltre che dell’Unione province italiane), Michele De Pascale, ammette con Open di essere preoccupato.
Qual è la situazione a quasi un mese e mezzo dai fatti in Romagna?
«E’ molto diversificata. In provincia di Ravenna sono stati colpiti tutti i comuni e abbiamo tutte le tipologie di danni, partendo dalla collina dove abbiamo una parte significativa delle 1000 frane che si sono verificate nella regione. Le frane sono molto difficili da gestire anche perché abbiamo la viabilità di collina quasi tutta interrotta o parzialmente interrotta e quindi questa è la priorità. Poi abbiamo i comuni più vicini alla via Emilia, dove i fiumi hanno rotto gli argini in maniera violentissima, portando nelle città una grande quantità di fango, molto più difficile da gestire rispetto alla sola acqua. Infine c’è la bassa, la pianura, dove l’acqua è arrivata più tardi ma dove ha ristagnato: siamo in zone che spesso sono sotto il livello del mare. Nelle strade di Ravenna magari si vedono solo le cataste di rifiuti da smaltire, ma nelle case e nelle imprese il danno è ancora elevato, tanto più che al momento gli unici indennizzi sono di 3mila euro a famiglia».
Non sono serviti gli interventi da 2 miliardi stanziati dal governo?
«I numeri non sono quelli. Il governo ha annunciato un intervento da 2,2 miliardi il 23 di maggio, sette giorni dopo l’alluvione e lì per lì la notizia ci è sembrata importante e coerente con il lavoro fatto. Poi, però, nel testo approvato le cose erano diverse: intanto la cifra iniziale non è da 2,2 miliardi, ma da 1 miliardo e 6. Di questi, un miliardo sono ammortizzatori sociali e i romagnoli stanno cercando di non utilizzarli, lavorando e tenendo i dipendenti a lavoro. Poi ci sono 300 milioni sull’internazionalizzazione, che in parte poco c’entrano e in parte rischiano di dare indennizzi solo alle imprese che esportano, il che rischia di creare una guerra sociale».
E poi?
«Ci sono cinquanta milioni distribuiti a pioggia tra i vari ministeri e 245 milioni per l’emergenza ma sono soldi che quando sono stati stanziati ne erano già stati spesi di più, visto che qualunque spesa inclusa la benzina per i vigili, va in quel capitolo. Ora ci troviamo con dei soldi o già spesi o già impegnati che non hanno nessun tipo di copertura finanziaria. Siamo già a circa 500 milioni, di soldi o gia spesi o già impegnati».
Già impegnati?
«Io ad esempio ho ordinato un ponte prefabbricato perché ne è crollato uno. Non ho ancora speso i soldi ma di fatto sono impegnati, dovrò pagarlo. Teniamo conto che noi al momento facciamo riparazioni appena troviamo le aziende in grado di farlo e ce lo dovranno imporre di non fare così. Tant’è che quando Musumeci ci ha detto che dovevamo concordare gli interventi con lui io ho risposto che ce lo deve mettere per iscritto perché io non ci vado dai cittadini di un comune che ha una frana a dirgli che se gli sistemiamo o no le cose lo dirà, coi suoi tempi, il governo».
Il governo però ha annunciato di voler gestire accentrando al ministero anche in futuro.
«Al momento non è così che funziona ed è giusto così, soprattutto nella fase di emergenza come quella attuale. Di norma ci fidiamo dei sindaci, al di là delle appartenenze politiche, e io come presidente della provincia sto facendo così con tutti, uno dei più importanti interventi che ho finanziato era stato richiesto da un sindaco leghista. Il governo ci ha detto di voler agire diversamente, se diventa legge dello stato ci atterremo ma spero che in parlamento ci sia la sensibilità trasversale di cambiare questa ipotesi. E’ un metodo che mal si sposa alla gestione di un emergenza».
Il governo dice però che per ripensare il territorio in modo che queste cose non succedano più servono tecnici di primo livello.
«Al primo incontro con la premier Meloni avevamo chiesto di mettere in campo una operazione di ripensamento del territorio, quindi siamo d’accordo. Ma se lei abitasse sotto l’argine di un fiume che è crollato si aspetterebbe due cose: che venissero fatti, ieri, gli interventi che si possano fare subito per evitare che se a ottobre viene una piena anche piccola la sua casa si ri-allaghi. E che mentre le ditte sono impegnati a fare questo il sindaco chiami degli esperti che valutino come agire per evitare inondazioni in futuro ma una cosa non può sostituire l’altra. A quello che è isolato a casa sua da una frana non possiamo dire che resta così mentre ci pensiamo. Può capitare che emergenza e ricostruzione siano cose separate, ma spesso non lo sono».
Il governo dice che vuole un tecnico e non un politico, perché non va bene?
«Noi abbiamo avuto l’esperienza del terremoto del 2012 e riteniamo che, al di là dei nomi, sia stata la migliore esperienza in Italia di ricostruzione, ma se il governo ha un’idea diversa l’importante è che lo faccia in tempi rapidi».
Si può ricostruire senza commissario?
«Sì, ma quello che si può fare in due anni si fa in dieci anni. E io dico: sei o sette mesi fa all’Italia serviva un rigassificatore, ci siamo messi a disposizione e in 120 giorni abbiamo fatto tutto, ora che abbiamo bisogno noi mi sembrerebbe assurdo non avere gli stessi poteri derogatori che ha avuto quel commissario. Se è un tecnico bene, ma auspichiamo che sia una persona che ha competenze dirette e soprattutto che per incontrarlo non ci tocchi andare a Roma. Gli diamo un ufficio qui e viene qui a lavorare con noi fianco a fianco. L’importante è avere un commissario».
Ma quanti soldi servono?
«Abbiamo fatto due tipi di stime. Una di ciò che risponde alle attività di emergenza e una di ciò che corrisponde alle attività di indennizzo e ricostruzione finale, ovviamente alcune cose cambieranno.
Ci sono circa 1,8 miliardi per attività che sono tutte nell’ottica dell’emergenza e queste sono tutte circostanziate con nomi e cognomi. Poi ci sono 500 milioni che servirebbero per dare un primo servizio alle imprese, così come è stato attivato quello per i cittadini, visto che per il momento il contributo forfettario di 20mila euro non è attivabile».
Avete dei tempi su questo?
«No e siamo basiti. Io sono presidente dell’Unione province italiane dal 2017 ed è la prima volta che mi trovo nella condizione di dire che davamo parere negativo al dl alluvione perché non c’erano nuove risorse. Non abbiamo impegni nemmeno informali sulle nuove risorse, neppure una frase di rito. E ci siamo sentiti dire dal ministro Musumeci che il governo non è un bancomat. Bene, neanche la Romagna è un bancomat: noi abbiamo sempre pagato le tasse, abbiamo partecipato in solidarietà a tutte le altre emergenze nazionali. I soldi che dà lo stato sono indennizzi dovuti a persone che hanno subito una calamità e quindi queste frasi del ministro, che ha anche rivendicato dopo averle dette nel corso del nostro incontro, ci hanno molto colpito».
Non un bel clima…
«L’altra cosa grave è che un viceministro (Galeazzo Bignami ndr) ha detto che non si fida dei documenti e degli atti che gli vengono dagli enti locali perché sono guidati da persone che hanno un’idea politica diversa dalla sua. Questo non ha precedenti nella storia repubblicana, io mi ricordo che durante la pandemia c’erano sindaci anche di centrodestra e mai un ministro gli ha detto “lei stia zitto non parli perché di lei non mi fido perché lei è della Lega”. Nelle emergenze l’ultima cosa a cui si guarda è il colore politico. Sono due passaggi che ci hanno colpito e anche ferito, come se i miei cittadini si dovessero sentire in colpa di aver votato un sindaco di centrosinistra piuttosto che di centrodestra perché se fosse stato di centrodestra tutto sarebbe stato più veloce. Vorrei tornare al clima del primo incontro, presente Meloni, in cui c’era un atteggiamento di leale collaborazione».
Ci sono segnali?
«Ho avuto modo di parlare col ministro Salvini che ha mostrato disponibilità ma un conto è l’informalità un conto è l’atto concreto».
Come state finanziando gli interventi per ora?
«Con i soldi nostri o a credito, tutte cose più facili per comuni più grandi o per la provincia ma difficili per i comuni piccoli. Ci sono comuni che hanno 5mila abitanti e 70 frane, quelli se non si va lì ad aiutare è impensabile che ce la facciano».
I fondi del Pnrr possono essere girati su questo?
«Per scelta dei governi che si sono susseguiti nel Pnrr c’è pochissimo sul dissesto idrogeologico e comunque distogliere i fondi e dirottarli lì è una procedura che impiega molto tempo. Il Pnrr prevede poi un divieto assoluto di impiego per la costruzione o ricostruzione di strade o per interventi sulle frane, per motivi ambientali secondo me miopi. Potrebbero essere utilizzati i fondi sviluppo e coesione, che però non sono ancora stati redistribuiti. In ogni caso serve sbrigarsi».
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