La ministra Roccella contro chi dà nomi di bambini ai cani: «Così trasferiscono il bisogno di avere figli: serve una rivolta a difesa dell’umano»

Secondo la ministra, non può essere «l’immigrazione incontrollata» la soluzione per la crisi della natalità in Italia: «Non possiamo appaltare a paesi terzi la vitalità che si guadagna con i figli»

Anche la ministra della Famiglia Eugenia Roccella se la prende con i proprietari dei cani che chiamano i loro animali domestici con nomi da bambini, così come aveva già fatto Papa Francesco in un convegno con Giorgia Meloni scatenando dure polemiche dal mondo animalista. Intervenuta a Fenix, la festa dei giovani di Fratelli d’Italia, Roccella pensa che ci sia bisogno «di una rivolta a difesa dell’umano. La famiglia, la filiazione, sono il cuore, sono le basi dell’umano, ma ora sono a rischio. Per esempio – ha detto – questo tentativo di dare i nomi dei bambini ai cani, è sintomo di un bisogno che evidentemente c’è, però viene trasferito sugli animali. Anche Papa Francesco ha ricordato che dentro passeggini trovi i cani oramai… Questa è una spia della situazione che stiamo vivendo». Secondo la ministra, prima del governo Meloni di famiglia e natalità «non si poteva neanche parlare. La maternità è ormai una parola cancellata. La natalità è stata vista come sbagliata». La colpa per la ministra è del pensiero portato avanti «dall’élite scientifica degli anni 60. C’è stata la volontà di renderla sbagliata».


La soluzione per affrontare la crisi della natalità in Italia secondo la ministra non può essere però allargare le maglie di ingresso per i migranti: «Noi non siamo contro l’immigrazione, ma contro quella incollata. Il punto è governare il fenomeno. E l’italia è un Paese che dà moltissima cittadinanza. Ma non si può non si può pensare di appaltare a paesi terzi la vitalità che si guadagna attraverso il fare figli. Dobbiamo tornare a fare figli». A proposito poi del disegno di legge per rendere reato universale la maternità surrogata, Roccella ribadisce quando sia necessario perché «con l’utero in affitto si sta cercando di svilire il senso di essere made e padre. Mettere tutto sul mercato, come si può comprare un gamete o affiatare un utero, mettendo poi da parte la madre o il padre, ferisce la dignità del bambino e della genitorialità. Quindi ora dobbiamo riconoscere socialmente l’essere madri e padri, perché non può essere un ostacolo” essere genitori “ma deve diventare socialmente premiante».


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