Acamar, il cranio dell’Homo sapiens restituito dal Po: «Ci aiuterà a capire le migrazioni dei nostri antenati»

Dopo la scoperta farà seguito un progetto di ricerca che indagherà età, sesso e periodo in cui è vissuto l’individuo

È stato chiamato Acamar il cranio umano ritrovato a Isola Serafini, l’isola fluviale sul fiume Po in provincia di Piacenza, situata tra i territori dei comuni di Monticelli d’Ongina, di Spinadesco e di Castelnuovo Bocca d’Adda. Il nome deriva dall’arabo acher-al-nahr, e significa «foce del fiume». Non un nome casuale: Acamar è anche il nome di una stella doppia con cui si chiude la costellazione di Eridano (antico nome del fiume Po, ndr) che ha una forma simile a quella della diramazione del fiume dove è stato trovato il reperto. Il cranio è stato ritrovato lo scorso settembre “grazie” alla magra del Po, e risale all’era del Paleolitico. Il reperto, secondo i primi rilievi, appartiene a un Homo sapiens, del quale sono rimaste due ossa parietali e l’osso occipitale. La scoperta è opera del professore Davide Persico, docente di Paleontologia dell’Università di Parma e sindaco di San Daniele Po, in provincia di Cremona. «Era lo scorso settembre ed era seminascosto dalla ghiaia – spiega il professor Persico -. Eravamo impegnati in un’escursione per l’osservazione del fiume e la scoperta è stata del tutto casuale. Ho segnalato immediatamente alla Soprintendenza archeologica Belle arti e Paesaggio per le provincie di Parma e Piacenza. La datazione è ancora incerta perché devono essere effettuati tutti gli studi necessari, ma è sicuramente arcaico e ritengo possa risalire al Paleolitico».


Le ricerche e gli approfondimenti

Il ricercatore ha poi annunciato che «il reperto sarà portato a Ravenna per la campionatura paleogenetica e quella dell’analisi al radiocarbonio», dove il professor Mauro Cremaschi dell’Università degli Studi di Milano si occuperà con il suo team di ricerca della parte geomorfologica e sedimentologica, in modo da «risalire al sesso, all’età, al periodo in cui è vissuto, probabilmente anche al tipo di alimentazione», anche se «purtroppo mancano i denti che avrebbero permesso di recuperare molte altre informazioni». Al contempo, la professoressa Elisabetta Cilli dell’Università di Bologna effettuerà un prelievo anche per vedere se c’è del Dna utile per fornire informazioni dirette sulle origini di questo uomo del passato. In un’intervista a Repubblica, il professor Persico ha spiegato che «la scoperta potrà aiutarci a capire le migrazioni e la storia dei nostri antenati, dall’Africa fino all’Italia», anche perché «un fiume restituisce solo resti disarticolati e provenienti da chissà dove». La scoperta è stata possibile a causa della siccità, come precisato dal paleoantropologo: «La magra dell’anno scorso ha allargato di molto le aree di ricerca: i ritrovamenti sono stati molto più frequenti. Negli ultimi anni dalle sabbie del fiume sono emersi molti resti di sapiens moderni, dal Neolitico in poi, ma anche animali come mammut, elefante, rinoceronte, leone delle caverne, iena, leopardo, lupo, cervo gigante e alce».


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