Andrea Purgatori, lo scontro tra le due diagnosi: c’è anche l’ipotesi di un’infezione

Sarà il perito Luigi Marsella, incaricato dal pm Orano, a indagare sui collegamenti tra «i comportamenti del personale sanitario» e il decesso del giornalista

Le cure che potrebbero essere state sbagliate, le diagnosi discordanti e, adesso, una nuova teoria sulla vera causa del decesso di Andrea Purgatori. Secondo il Corriere, nelle ultime ore sta acquistando valore l’ipotesi che a uccidere il giornalista possa essere stata un’infezione. Una pericardite settica, per la precisione, che potrebbe aver avuto un esito fanale su un corpo già debilitato dalla radioterapia. Nell’attesa che arrivino i risultati dell’autopsia – forse già mercoledì 26 – la famiglia di Purgatori ha nominato un proprio medico di fiducia per assistere alle fasi autoptiche: Vincenzo Pascali, direttore dell’Istituto di medicina legale della Cattolica. Anche il pm Giorgio Orano ha scelto un medico, Luigi Marsella del Policlinico di Tor Vergata, al quale affidare il ruolo di perito. Mentre sono due i dottori indagati – Gianfranco Gualdi e Claudio Di Biasi -, i giudici dovranno stabilire se sussistono nessi causali tra la morte di Purgatori e «i comportamenti del personale sanitario».


Dalle evidenze che raccoglierà il perito, si attendono risposte su due aspetti, ovvero «se sono state rispettate nel caso di specie le raccomandazioni indicate nelle linee guida pubblicate o, in mancanza, le buone pratiche clinico assistenziali, precisando se vi è stato o meno un errore di esecuzione nella concreta pratica sanitaria». L’indagine risulta particolarmente complicata poiché Purgatori, nel decorso della malattia, aveva consultato diversi medici di strutture diverse. Stando a quanto riferito dalla famiglia, «gli esperti, alcuni veri e propri luminari, si erano divisi riguardo alla diagnosi di metastasi cerebrali formulata per la prima volta il 25 aprile, in maniera perfino clamorosa. Negli ultimi tempi si sarebbe verificata una lite tra esperti riguardo ai risultati di una tac». Il riferimento è alla diatriba tra i dottori che leggevano nei test la presenza di metastasi al cervello e chi, invece, ravvisava solo la presenza di ischemie diffuse.


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