Inchiesta Covid, archiviate le accuse per Fontana e Gallera e altri 11 indagati: «Smontato l’odio e le bufale contro di noi»

La decisione del Tribunale dei ministri di Brescia. Resta in piedi l’imputazione di rifiuto di atti d’ufficio

«Insussistenza di reati». È la motivazione dell’archiviazione delle accuse di epidemia e omicidio colposo per la gestione della prima ondata di Covid in Valseriana a carico del governatore della Lombardia Attilio Fontana, dell’ex assessore regionale al Welfare Giulio Gallera e di altri undici indagati. Lo ha deciso il Tribunale dei ministri di Brescia che ha «mantenuto in vita» – rimandando gli atti alla Procura – solo un’accusa di rifiuto di atti d’ufficio per non aver applicato il piano antinfluenzale del 2006, anche in ambito regionale, a carico di Silvio Brusaferro, Angelo Borrelli, Claudio D’Amario, come tecnici, e Gallera e dell’ex dg Luigi Cajazzo. Questa imputazione di rifiuto di atti d’ufficio, dunque, è l’unico capitolo che resta in piedi (oltre a quello dell’ospedale di Alzano ma per altri indagati). «Una ventata di verità»: è il primo commento del governatore lombardo secondo il quale «su questa indagine una certa parte politica ha costruito per anni una campagna di vero e proprio odio contro la Lombardia e contro il nostro operato». Nelle 34 pagine della sentenza di archiviazione «vedo smontate – continua Fontana – molte delle troppe bufale costruite ad arte su quei mesi drammatici che hanno sconvolto le nostre comunità e provocato un immenso dolore a tante famiglie».


«Accuse prive di basi scientifiche»

Nelle 34 pagine di motivazioni dei giudici bresciani, che ricalcano quelle depositate per archiviare le accuse nei confronti dell’ex premier Conte e l’ex ministro della Salute Speranza, «l’ipotesi accusatoria nei confronti di Fontana e di altri 12 imputati – si legge – non è supportata neppure dalla consulenza Crisanti e si riduce a nulla più che a una congettura priva di basi scientifiche». Per il Tribunale, il professore Cristanti – consulente dei pm di Bergamo – «ha compiuto uno studio teorico ma non è stato in grado di rispondere circa il nesso di causa tra la mancata attivazione della zona rossa e la morte di persone determinate». La contestazione dell’omicidio colposo «in relazione alla morte delle persone indicate in imputazione si basa quindi su una mera ipotesi teorica sfornita del ben che minimo riscontro». Per quanto riguarda invece l’accusa di epidemia colposa e la mancata applicazione di un piano pandemico, i giudici fanno notare nelle motivazioni della sentenza che «il Piano pandemico del 2006 non era per nulla adeguato ad affrontare la pandemia da Sars-CoV-2». Data la «natura stessa della pandemia da Sars-CoV-2, che ha coinvolto l’intera umanità – si legge ancora – sarebbe comunque irrealistico ipotizzare che la stessa sia stata cagionata, anche solo a livello nazionale o regionale, da asserite condotte omissive».


«Non spettava a Fontana decidere per la zona rossa»

Secondo i giudici bresciani, il presidente lombardo «alla luce dei dati conosciuti e conoscibili, ha operato nel solco di quanto previsto dal decreto-legge n. 6 del 2020 e ha correttamente fornito al Governo i dati a sua disposizione». E, inoltre, «la competenza» a decidere provvedimenti come la zona rossa «era in prima battuta del presidente del Consiglio». La Regione, scrive ancora il Tribunale, «salvi casi eccezionali, non avrebbe potuto adottare tali provvedimenti senza confrontarsi con il Governo, dovendo simili misure essere inquadrate nell’ambito di una gestione dell’epidemia unitaria e non frammentaria ed episodica». Sotto questo profilo, «la contestazione al Presidente della Regione Lombardia di non aver introdotto la zona rossa nei comuni di Nembro e Alzano è, anche astrattamente, infondata».

Anche la Regione Lombardia, come i governi di tutto il mondo – si legge ancora nelle motivazioni – «ha affrontato una situazione epidemiologica caratterizzata da assoluta novità ed eccezionalità». Nei giorni in cui viene «formalmente contestata un’omissione al Presidente della Regione Lombardia persisteva quindi – spiegano i giudici – un grado di incertezza non trascurabile sul livello di infettività del virus e quindi la valutazione circa l’istituzione o meno della zona rossa doveva essere attentamente ponderata». Per il Tribunale, i rapporti fomiti dalla Regione Lombardia «riportavano effettivamente la fotografia di una situazione sovrapponibile a molti comuni, assimilando quella che si trovava in aree ove era già stata istituita la zona rossa a quella di comuni che in essa non erano ricompresi (vedi Crema, Cremona, Orzinuovi, Zogno, la stessa Bergamo)».

Gallera: «L’archiviazione rende giustizia al nostro operato»

«La grande illusione di trovare colpevoli ad ogni costo è dunque caduta»: è il commento dei due legali di Fontana, Jacopo Pensa e Federico Papa secondo i quali «ci sono voluti 3 anni di tritacarne, mediatico e giudiziario, per decretare l’assoluta infondatezza delle accuse sui camici, a cui si sono aggiunti sei mesi di altrettanta angoscia per vedere riconosciuto che il governatore si è sempre comportato secondo legge e secondo coscienza, non ha agevolato la pandemia e non ha causato i decessi a lui attribuiti», concludono gli avvocati. Dello stesso tono il commento di Gallera che, appresa la notizia dell’archiviazione, ha accolto «con grande emozione e particolare soddisfazione questa notizia che rende giustizia al mio operato e a quello di Regione Lombardia e spazza via ogni forma di sciacallaggio contro la nostra gestione. Rimarrà comunque sempre indelebile la ferita profonda determinata dai decessi causati dalla pandemia».

Leggi anche: