Messina Denaro è stato operato. Le sue parole nell’interrogatorio dopo la cattura: «Non mi pentirò mai. Mi avete preso grazie alla malattia»

Il boss è stato trasferito dal 41bis all’ospedale de L’Aquila per precarie condizioni di salute

Dal 4bis all’ospedale de L’Aquila. Sono sempre più precarie le condizioni di Matteo Messina Denaro, malato di tumore e operato oggi nel nosocomio. «Io non mi farò mai pentito». Sono le sue parole, quando fu interrogato dopo l’arresto avvenuto il 16 gennaio scorso nella clinica Maddalena di Palermo. Nel primo verbale di interrogatorio, datato 13 febbraio e ora depositato, il boss di Cosa Nostra ha sfidato i magistrati negando di aver commesso stragi e omicidi e di aver trafficato in droga. «Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso, Cosa nostra la conosco dai giornali. Magari ci facevo affari e non sapevo che era Cosa nostra», ha detto Messina Denaro dopo la cattura al procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e all’aggiunto Paolo Guido. «La mia vita non è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata», ha inoltre affermato, ammettendo di fatto la latitanza e di aver comprato una pistola, ma di non averla mai usata. Matteo Messina Denaro è stato operato nel pomeriggio e, secondo quanto si apprende, si prospetta una degenza non breve nella cella ospedaliera dell’ospedale de L’Aquila. Nel nosocomio del capoluogo abruzzese, il boss è stato trasferito oggi dal regime del 41bis tra ingenti misure di sicurezza.


«Mi avete preso per la malattia»

Durante l’interrogatorio, Messina Denaro ha inoltre detto ai pm di essere stato catturato a causa della malattia. «Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia», ha affermato il capomafia, aggiungendo inoltre di aver rinunciato alla tecnologia «fino quando ha potuto» perché sapeva sarebbe stato un punto debole. Per spiegare, inoltre, ai magistrati il cambio di passo sulla gestione della latitanza il 13 febbraio scorso ha citato il proverbio ebraico: «se vuoi nascondere un albero piantalo in una foresta. Ora che ho la malattia e non posso stare più fuori e debbo ritornare qua…», si è detto dopo aver scoperto di avere il tumore «allora – ha raccontato – mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta, allora se voi dovete arrestare tutte le persone che hanno avuto a che fare con me a Campobello, penso che dovete arrestare da due a tremila persone: di questo si tratta». Secondo il boss, in paese pochi conoscevano la sua vera identità: «A Campobello mi sono creato un’altra identità: Francesco. Giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare», ha spiegato.


«Non ho ucciso il piccolo Di Matteo»

Durante il lungo interrogatorio, il boss ha inoltre riferito di non essere coinvolto nell’omicidio di Giuseppe di Matteo, il figlio del pentito rapito e sciolto nell’acido. «Una cosa fatemela dire», ha detto Messina Denaro ai magistrati. «Forse è la cosa a cui tengo di più: io non sono un santo…ma con l’omicidio del bambino non c’entro». Poi, rivolto al procuratore: «Lei mi insegna che un sequestro di persona ha una sua finalità, che esclude sempre l’uccisione dell’ostaggio, perché un sequestro a cosa serve? Ad uno scambio: tu mi dai questo ed io do l’ostaggio; il sequestro non è mai finalizzato all’uccisione- spiega il boss -. Sequestrano questo bambino – quindi io sono come mandante, mandante del sequestro – sequestrano questo bambino, lui (Giovanni Brusca, ndr) non dice che c’ero io». E poi ancora: «Ad un tratto lui resta solo in tutta questa situazione, passa del tempo, un anno/due anni, dice si trova davanti a televisione ed il telegiornale dà la notizia di… che lui era stato condannato all’ergastolo per l’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo, ci siamo?» , spiega. A quel punto secondo la narrazione di Messina Denaro, Brusca, fuori di sé per la condanna all’ergastolo per l’omicidio Salvo, decreta la morte del bambino. «Ma… allora, a tutta coscienza – continua il capomafia – , se io devo andare in quel processo, che è ormai di Cassazione, devo andare per sequestro di persona. Quindi a me perché mi mettete – non voi, il sistema – come mandante per l’omicidio, quando lui dice che poi non ci siamo visti più?». Per Messina Denaro, «decise» tutto Brusca «per l’ira dell’ergastolo che prese. Ed io mi sento appioppare un omicidio, invece secondo me mi devono appioppare il sequestro di persona; non lo faccio per una questione di 30 anni o ergastolo, per una questione di principio. E poi a tutti… cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell’acido e alla fine quello a pagare sono io? Cioè, ma ingiustizie quante ne devo subire?», ha concluso.

«Mio padre era un mercante d’arte»

Alla domanda del procuratore di Palermo se avesse mai trafficato in droga, Messina Denaro rispose di vivere bene «di mio, di famiglia» perché il padre, Francesco Messina Denaro, padrino di Castelvetrano, morto da latitante e ritenuto uno dei fedelissimi dei Corleonesi di Totò Riina, era «un mercante d’arte». E poi ancora: «Io sono appassionato di storia antica da Roma a salire – racconta il capomafia ai pm – poi mio padre era mercante d’arte e dove sto io c’è Selinunte (sito archeologico del trapanese, ndr). Mio padre non è che ci andava a scavare però a Selinunte a quell’epoca c’erano mille persone e scavavano tutte. In genere il 100% delle opere le comprava mio padre che poi venivano vendute in Svizzera e poi arrivavano dalla Svizzera dovunque: in Arabia, negli Emirati e noi vedevamo cose che passavano da mio padre nei musei americani», ha concluso.

«Non volevo offendere Falcone»

Infine, il boss si lancia in un’interpretazione del vocale datato 23 maggio quando fermo nel traffico per le commemorazioni della strage di Capaci, imprecava. «Io non è che volevo offendere il giudice Falcone, non mi interessa… Il punto qual è? Che io ce l’avevo con quella metodologia di commemorazione. Allora, se invece del giudice fosse stato Garibaldi, la mia reazione sempre quella sarebbe stata, perché non si possono permettere di bloccare un’autostrada per decine di chilometri: cosi vi fate odiare», ha detto ai pm, commentando il messaggio audio inviato a una paziente con cui faceva la chemioterapia durante la latitanza.

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