La madre di Alessandro Venturelli in viaggio da 3 anni per cercare il figlio scomparso: «Nessuno fa niente, ma non mollo» – Il video

Roberta Carassai si sente abbandonata: «C’è un vuoto normativo. Per gli scomparsi nessuno fa niente»

Si chiama Roberta Carassai, è un tecnico di laboratorio nell’ospedale modenese di Boggiovara, e per quasi tre anni (32 mesi) ha girato Genova, Padova, Treviso, l’Olanda e ora Napoli per cercare il figlio 23enne, Alessandro Venturelli. Di lui si sono perse le tracce a Sassuolo il 5 novembre 2020. Carassai non ha intenzione di mollare e, accompagnata da Marinella Maioli, presidente dell’associazione Il Coraggio onlus, insegue ogni segnalazione che le arriva. Il ragazzo è riconoscibile da un tatuaggio che ha sul polso, ovvero un quadrifoglio con una data in numeri romani che rappresenta il giorno in cui si è risvegliato dal coma provocato da un incidente in moto. Sono diverse le segnalazioni che ha ricevuto in questi anni. Una volta in un centro sociale, poi in un bar e in un ristorante.


Le segnalazioni

Alcuni di loro riferiscono di averlo visto con una ragazza. «Avete scattato una fotografia? Mi serve una prova», chiede sempre la donna citata da la Repubblica. Ma – fa sapere – «qui ci resto sempre male. Nessuno pensa a fare una foto. Nessuno mi dà la conferma che aspettavo». Ad ogni occasione si presenta speranzosa in questura. «Ieri la Polfer di Napoli mi ha detto di aver visto uno che somigliava ad Alessandro prendere un treno. Io ho chiesto di vedere i filmati delle telecamere, ma mi hanno detto che doveva essere la questura ad autorizzare».


«Voglio solo sapere se è vivo»

Carassai ha fatto richiesta e fa sapere che non partirà da Napoli finché non riceverà risposta. Ma anche i momenti di sconforto sono all’ordine del giorno: «Non ce la faccio più, mi sento impotente: nella mia battaglia quotidiana avrei bisogno di persone competenti. In questi anni mi sono accorta che per gli scomparsi nessuno fa niente: è una piaga sociale, c’è un buco normativo. Nessuno indaga, ma io non mi fermerò. Vorrei solo – conclude – che mio figlio mi telefonasse e mi dicesse: sono vivo. Gli risponderei: se hai bisogno di aiuto, io sono qua».

Leggi anche: