I dubbi sul valore letterario dell’opera del generale Roberto Vannacci, nei giorni scorsi accusata di avere contenuti omofobi e razzisti, non riguardano solo la sostanza ma anche la forma. Il libro infatti, sembrerebbe abbondare di errori di ortografia, refusi e citazioni non dichiarate: questo è quanto denuncia dalle colonne del Corriere della Sera il professor Massimo Arcangeli, docente di linguistica italiana ed ex preside della facoltà di Lingue e letterature straniere presso l’Università degli Studi di Cagliari. Arcangeli prende in considerazione una serie di estratti de Il mondo al contrario, sottolineando come al contrario sembra essere anche la grammatica: così, a pagina 4, leggiamo ad esempio che «Abbiamo suon di politici e di intellettuali». A pagina 70, la rivisitazione dell’antico adagio: «Sbagliare è umano ma imperversare è diabolico». E ancora (pagina 226): «Conosco personalmente altre persone che, pur avendo il passaporto tricolore, non spiaccicano più di un “Ciao? come stai?” nella nostra lingua».
Citazioni o copia e in colla?
Non è l’unico passaggio critico, a detta di Arcangeli, che fa notare come a pagina 259 Vannacci si lasci andare a considerazioni sulla lotta all’omofobia perfettamente sovrapponibili a quelle fatte dall’attivista omosessuale Francesco Mangiacapra nel suo libro Il golpe del politicamente corretto. Quando le minoranze divengono dittatura. Peccato che né il testo né il suo autore vengano citati dal generale. Così come non viene citato un testo da cui sarebbe stata copiata quasi alla lettera la considerazione che troviamo venti pagine dopo, sull’identità di genere. «La costruzione dell’identità di genere si basa […] sull’assunzione di modelli di riferimento nei confronti dei quali i bambini attivano processi di imitazione e, conseguentemente, di identificazione», scrive Vannacci. «La costruzione dell’identità di genere si basa sull’assunzione di modelli di riferimento adulti nei confronti dei quali i soggetti in formazione attivano processi di imitazione e conseguentemente di identificazione», si legge nell’articolo di Ilaria Cellanetti in Verso una cittadinanza di genere e interculturale. Riflessioni e buone prassi dalla Facoltà di Scienze della Formazione di Firenze. Altri estratti, come quelli sulla rettifica dell’attribuzione di genere, sembrano invece il risultato di un assemblaggio tra diverse fonti trovate su Internet.
Refusi e strafalcioni
Ma ci sono momenti in cui viene da chiedersi se questo testo sia stato mai riletto. Domande che sorgono spontanee, per esempio, nei passaggi dalla sgangherata punteggiatura («Provate a chiedervi il perché abbiano scelto la nostra penisola quale teatro preferito del loro malaffare?», p. 147; «E che dire allora di moltissime altre percezioni: pensiamo a quelle sull’intelligenza», p. 277). E ancora: «un paese è tanto più democratico quanto più rispetta e tutela le minoranze ma, non esageriamo» (p. 5); «è in malafede e, per raccattare voti e popolarità si erge a protettore dei più deboli» (p. 119); «è alla base della nostra civiltà giuridica e, persino del nostro benessere» (p. 284). Ci sono anche punti in cui il generale sembra coniare una lingua alternativa. A pagina 108, per esempio, quando confessa: «a me inorridisce». O a p. 237: «se di sesso si parla […] si afferisce alla sfera personale». E ancora: «è la povertà e il sottosviluppo a produrre più di ogni altro l’inquinamento» (p. 21); «La stabilità, la prosperità, lo sviluppo e la pacifica convivenza della società occidentale può essere seriamente messi in pericolo dai continui ed incontrollati flussi migratori» (p. 128); «la desensibilizzazione e la banalizzazione deve avvenire» (p. 259). In alcuni punti, sembra quasi ci sia stata una commistione con lingue straniere: come quando racconta che due agenti cominciarono a «questionarlo» (p. 137), ovvero a porgli delle domande. In altri, riflette: «Non so quanti ladri vengano effettivamente perseguitati dalla giustizia» (p. 144).
I passaggi in latino
Non di rado quanto scrive assume un aspetto criptico, misterioso: come a pagina 236, quando leggiamo che «nel mondo antico, l’omosessualità era confinata esclusivamente all’ambito dei gusti e del piacere sessuale e non ha mai inciso con la famiglia o con altre istituzioni». O quando parla di «vocazione genomica alla violenza e alla criminalità di cui il popolo italiano sarebbe cromosomicamente caratterizzato» (p. 136). Ermetica e confusa la sua prosa anche quando enuncia, a pagina 15: «Considerare l’azione dell’uomo come aliena all’evoluzione del pianeta è un astrattismo ermetico ed irrazionale che ci riporterebbe alla lotta tra bene e male di cui i sistemi fisici e naturali sono totalmente avulsi».
Le cose non migliorano passando ad altre lingue, come il latino parlato da Giulio Cesare (con cui si vanta di condividere il sangue): «In fin dei conti si tratta di gusti, di preferenze, di predilezioni che, proprio secondo la saggezza degli antichi, non si discutono, non sono “disputandum”», scrive ad esempio a pagina 234. Concetto ribadito a pagina 287, perché repetita iuvant: «si rimane nella traiettoria dei gusti, che proprio come tali, non sono “disputandum”». Insomma i contenuti possono aver convinto una fetta di lettori (come i membri del Cantiere Laboratorio-Gioventù Controcorrente), ma gli strafalcioni rimangono incontrovertibili.
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