Tajani vola in Cina per spiegare l’addio alla Via della Seta: «Apriamo una nuova stagione». Anche Meloni e Mattarella presto a Pechino – Il video

Il ministro degli Esteri a colloquio a Pechino con il suo omologo Wang Yi. Cui ha chiesto anche di fare pressione su Putin per mettere fine alla guerra in Ucraina

L’Italia si prepara a sfilarsi dalla Via della Seta, il progetto di espansione geo-economica cinese cui Roma aveva aderito tramite formale memorandum nel 2019, all’epoca del primo governo Conte. Un passaggio delicato, per il governo Meloni, che se da un lato è sensibile ai “richiami” americani (sentiti in prima persona dalla premier a luglio a Washington), dall’altro non può permettersi di irritare oltremodo il Dragone, men che mai di perdersi per strada i lucrosi investimenti e traffici commerciali sull’asse Roma-Pechino. E così a smussare gli angoli e spiegare de visu ai cinesi l’orientamento del (quasi) nuovo governo italiano è stato Antonio Tajani, volato appositamente a Pechino dopo aver anticipato l’orientamento dell’esecutivo lo scorso weekend da Cernobbio. «Il partenariato strategico è molto più importante della Via della Seta», ha dichiarato il ministro degli Esteri parlando alla stampa dopo l’incontro col suo omologo cinese. Su questo aspetto, ha precisato Tajani, «ho ribadito a Wang Yi le valutazioni del governo italiano e dovremo ascoltare il Parlamento per decidere. Il clima è stato molto positivo, così come lo è stato con il ministro del Commercio cinese». Pechino in effetti sembra di fatto aver già preso atto della scelta di Roma, preannunciata da mesi, senza eccessivi isterismi. Un editoriale pubblicato alla vigilia della visita di Tajani sul Global Times, giornale in lingua inglese vicino al regime, ha certificato la linea soft, come nota Formiche. «Potrebbe esserci qualche impatto se il governo italiano decidesse di non rinnovare il patto: per esempio, non ci sarà la stessa garanzia sugli investimenti e la possibilità di stabilire le relative regole. Ma questi impatti non rappresenteranno una battuta d’arresto fondamentale per le relazioni Cina-Italia», ha scritto sul quotidiano cinese il direttore dell’Istituto per gli Affari internazionali della Renmin University Wang Yiwei.


Le visite di Meloni e Mattarella e il pressing sull’Ucraina

Certo nell’incontro con Tajani, il capo della diplomazia cinese ha provato a difendere la permanenza di Roma dentro la Belt and Road Initiative – ricordando come «negli ultimi 5 anni l’interscambio commerciale tra i due Paesi è arrivato a 80 miliardi di dollari da 50 miliardi, e l’export italiano verso la Cina è aumentato del 30%» e parlando di una «pagina di cooperazione brillante» tra i due Paesi. Ma nei fatti Wang Yi ha ricevuto il messaggio di un cambio d’indirizzo auspicato dal governo italiano. «Con la Cina apriamo oggi una nuova stagione per la nostra cooperazione rafforzata», ha detto questa mattina Tajani a conclusione della XI sessione del Comitato governativo Italia-Cina. Un modo felpato per preparare il terreno alla messa in archivio del memorandum sulla Via della Seta, che arriverà con ogni probabilità nelle prossime settimane. Che ciò non significhi affatto un ritiro dai rapporti di scambio con la Cina, Tajani ha voluto ribadirlo anche annunciando le prossime visite di alto livello italiane a Pechino: delle ministre Anna Maria Bernini (Università e Ricerca) e Daniela Santanché (Turismo) già «entro la fine dell’anno», della premier Meloni stessa – in date ancora da confermare – su fino al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, atteso a Pechino il prossimo anno per «suggellare questa forte amicizia e collaborazione su temi concreti». Nei suoi colloqui a Pechino, Tajani ha anche tentato di richiamare la leadership cinese agli sforzi necessari per mettere fine alla guerra tra Russia e Ucraina. «Sull’Ucraina, ho incoraggiato ad utilizzare l’influenza della Cina a favore di una pace giusta», ha scritto su X Tajani, che ha poi detto ai cronisti di aver trovato i suoi interlocutori cinesi «preoccupati» per il conflitto. Una preoccupazione mai foriera di concrete azioni diplomatiche però, da 18 mesi a questa parte. Xi Jinping, pronto ad accogliere Putin a Pechino ad ottobre, soffierà nuove parole all’orecchio del «collega» russo?


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