Lo Stato contro Google. Via negli Usa al maxi-processo per monopolio delle ricerche web. Cosa rischiano i colossi tech?

L’azienda di Mountain View deve difendersi dall’accusa di aver imposto il suo sistema di ricerca grazie ai miliardi versati a Apple, Samsung e ai provider telefonici

Si è aperto oggi negli Usa, martedì 12 settembre, quello che si prevede essere il più colossale processo per violazione delle regole sulla concorrenza nell’era digitale. Per lo meno di questo millennio. Sul banco degli imputati finisce il colosso tech per eccellenza, Google. Una realtà talmente radicata da oltre un decennio nella vita dei cittadini del mondo intero da essersi quasi dimenticati com’era, la vita prima di Google. Ma l’affermazione planetaria del sistema di ricerca per parole chiave è stata dovuta soltanto all’eccellenza della piattaforma messa in piedi e via via raffinati dagli ingegneri della grande G o anche da comportamenti lesivi della libera concorrenza? È la grande domanda cui dovrà trovare risposta il processo apertosi poche ore fa a Washington dal nome inequivocabile: «U.S. et al. v. Google». A dar vita all’accusa, che esporrà le sue tesi per le prime, lunghe settimane, è il governo federale Usa, per il tramite del Dipartimento di Giustizia, insieme con diverse decine di suoi Stati. L’imputazione mossa a Google, appunto, istruita per quasi tre anni con milioni di pagine di documenti, è quella di aver portato il proprio sistema di ricerca su Internet a conquistarsi il quasi monopolio (91% circa del mercato) a suon di accordi lucrosi per escludere scientificamente i concorrenti, reali e potenziali. L’azienda di Mountain View avrebbe versato secondo l’accusa la cifra stratosferica di 45 miliardi di dollari l’anno circa ai più popolari costruttori di smartphone – Apple, Samsung, LG e Motorola – in cambio dell’inserimento di default per la search engine dei loro cellulari di Google. Così da tagliare le gambe a sistemi come Bing (di Microsoft) o DuckDuckGo. Accordi simili sarebbero stati siglati, a suon di miliardi, anche con altri browser, come Mozilla o Opera, e con i provider telefonici Usa: AT&T, Verizon e T-Mobile.


Cosa rischia Google

Ad avviare l’indagine contro Google per conto del governo Usa fu il ministro della Giustizia dell’amministrazione di Donald Trump, Merrick Garland: era il 2019. Il fascicolo procedette poi sotto la guida dell’amministrazione Trump, e oggi inizia il dibattimento. Ma cosa rischia davvero la società di Sundar Pinchai? Difficile stabilirlo con certezza a priori, poiché le sanzioni verranno prese in esame solo dopo che / nel caso in cui sarà stata accertata la colpevolezza di Google (ed è prevedibile ci vorranno mesi). È verosimile la società incorrerebbe in una multa salata, come quelle cui è già stata condannata in Europa dall’Ue. Sarebbe poi verosimilmente condannata a cambiare le sue pratiche di business, rinunciare a un certo numero di accordi preferenziali con altre aziende del settore e forse, secondo il Corriere, essere esclusa dalle prossime aste Usa per ottenere la posizione di default in vari sistemi. Sullo sfondo resta l’«arma letale» cui potrebbero ricorrere i giudici: quella dello «spezzatino», ossia di ordinare la divisione di Google in diverse altre società per spezzare il monopolio. Come successe nel caso-scuola di Antitrust, quello del 1911 che spezzettò il colosso petrolifero Standard Oil, e poi ancora nel 1982 per il monopolio telefonico di AT&T.


Il precedente di Microsoft e le lezioni per le altre big

Un’altra epoca, appunto. Così come lo era quella del 1998, quando a finire sul banco degli imputati, all’alba dell’era di Internet, fu Microsoft, accusata di abuso di posizione dominante per il quasi-monopolio del suo browser Explorer. La sentenza che chiuse quel processo, nel 2001, aprì la strada però secondo alcuni all’era digitale «aperta» che ne seguì, con la nascita di molte battagliere start-up, tra cui la stessa Google. Che ora si trova con le spalle larghe, e il peso implicito, del ruolo di monopolista. I grandi concorrenti di Mountain View guarderanno con interesse all’esito del processo, ma potrebbero avere poco da gioire per una condanna del competitor. La direzione che prenderà il processo di Washington, come nota il New York Times, potrebbe avere ampi effetti a catena, potenzialmente «mettendo un freno alle più grande compagnie di Internet come Apple, Amazon e Meta, oltre a Google, dopo decenni di crescita senza ostacoli».

Battaglia legale

Le posizioni di default come sistema di ricerca su Internet sono state per 12 anni una «potente arma strategica» per Google ed un «tallone d’Achille» per i suoi rivali, ha detto in apertura del processo l’avvocato del Dipartimento di Giustizia Usa Kenneth Dintzer, ricordando come la ruota che ha iniziato a girare sempre più rapidamente grazie agli accordo con altre aziende «gira sempre a vantaggio di Google». «Loro hanno spento la storia, dunque qui, vostro onore, voi potrete riscriverla in quest’aula di tribunale», ha concluso la sua prima requisitoria Dintzer, accusando i vertici di Google di aver anche tentato di nascondere documenti chiave nella fase d’istruttoria del processo. C’è da giurare che l’azienda di Mountain View, che si prepara da anni alla battaglia legale ed ha assunto per questo processo tre studi legali, tenterà di ricorrere a contro-argomentazioni almeno altrettanto convincenti. Primo fra tutti, che il quasi-monopolio deriva dalla superiorità del suo prodotto, non da tattiche abusive del mercato. Ai giudici, tra molte settimane, l’ardua sentenza.

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