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Mario Tozzi e il ruolo del cambiamento climatico nelle inondazioni in Libia

14 Settembre 2023 - 05:25 Redazione
libia mario tozzi cambiamento climatico
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Il geologo: città mal costruite, la crisi colpirà duramente chi è più povero

Il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi parla oggi su La Stampa delle inondazioni in Libia. E spiega che il fenomeno è strettamente connesso al cambiamento climatico. Secondo il portavoce del Servizio di ambulanza e soccorso in Libia, Osama Ali ad Al-Ahrar, il numero dei morti nel Paese a causa delle inondazioni è salito a 5.500 vittime, 10 mila sarebbero i dispersi e 7 mila feriti. Tozzi spiega che nella regione sono caduti 420 millimetri di pioggia, e venti costieri che hanno sfiorato i 200 chilometri all’ora. Un ciclone submediterraneo si è trasformato in tropicale. E il tutto è stato generato da temperature eccezionali delle acque. Mentre la frequenza di questo tipo di fenomeni è passata da uno ogni cinque anni a uno ogni anno e mezzo.

Città mal costruite

Il tutto, secondo Tozzi, è andato a colpire città mal costruite: «A Derna si è occupato il territorio di pertinenza dello uadi omonimo fino alla piana costiera. Si è canalizzato il corso d’acqua con argini fatti dai palazzi stessi. E si è pensato di mettersi in sicurezza dalle alluvioni, che non sono infrequenti, attraverso l’imposizione di due dighe». Che però, spiega l’esperto, sono entrambe saltate. E così l’acqua ha colpito le case e allagato ogni cosa. Anche a causa delle condizioni di partenza. Per questo Tozzi avverte che la crisi climatica colpirà più duramente chi è più povero e meno attrezzato. «E chi si è mosso peggio sul territorio. Facile chiamarle catastrofi dei poveri».

Il cambiamento climatico

Infine, Tozzi punta il dito contro chi ancora oggi «dubita, in malafede, che l’incremento di perturbazioni violente sia conseguenza del cambiamento climatico». Perché «gli studi scientifici seri dimostrano che è proprio così, mentre quelli poco seri vengono ritirati dalla stesse riviste che li avevano pubblicati». Secondo il docente «più calore significa, in parole povere, più evaporazione e,dunque, maggiore vapore acqueo per le perturbazioni che lo evacueranno in maniera violenta. Con buona pace di chi critica gli scienziati che, dieci anni fa, avevano previsto “la fine del mondo” per il 2023. Intanto non si parlava di fine del mondo, ma di condizioni meteorologiche estreme, dalle tempeste subtropicali alle ondate di calore. E poi, guardando quanto accade nel mondo fra incendi, tempeste, grandinate fuori misura, frane e alluvioni, di che altro hanno bisogno, dell’invasione delle cavallette o dei cavalieri dell’Apocalisse?».

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