Il dottor Alessandro Aiuti e la terapia che usa il virus dell’Hiv per curare i bambini con malattie rare

Il figlio dell’immunologo lavora al San Raffaele Telethon con la terapia genica

Alessandro Aiuti, 57 anni, lavora all’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica. Suo padre, l’immunologo Fernando Aiuti, si occupò di Aids nei primi anni Ottanta. Ora il figlio ha scritto un libro con Annamaria Zaccheddu che si chiama “La cura inaspettata”. Nel quale racconta cosa è successo con l’Hiv: «È il virus che causa l’Aids, ma è anche uno dei virus che sfruttiamo per la terapia genica. Ovviamente non lo usiamo così com’è. Lo smontiamo e rimontiamo, togliendo le componenti che gli permettono di replicarsi e inserendovi una copia del gene corretto che sostituirà quello danneggiato dalla malattia. L’Hiv è un virus maneggevole, efficiente nel penetrare nelle cellule staminali del sangue e inserirvi i geni corretti», spiega a Elena Dusi de la Repubblica.


Guarigioni

Aiuti fa sapere che è difficile usare la parola “guarigioni”, per ora: «Guarito è una parola che noi medici usiamo con prudenza, ma a parecchi anni di distanza i geni corretti continuano a funzionare e i ragazzi stanno bene. Salsabil, una bambina palestinese con l’Ada Scid, è stata la prima a ricevere il trattamento nel 2000. Era troppo grave per viaggiare, andammo a Gerusalemme per trattarla. Ora ha 23 anni e sta bene». Alessandro Aiuti ricorda la tragedia dell’Aids: «I primi casi arrivarono a Roma nel 1980, anche se vennero riconosciuti più tardi. La mia famiglia ne fu subito travolta. Mio padre, che insegnava alla Sapienza, portava a casa il peso e la frustrazione di un medico che vede morire i suoi pazienti senza sapere cosa fare. Ogni tanto a dir la verità a casa portava anche le provette di sangue infetto che usava per fare ricerca. Le metteva in un angolo del frigo, con la scritta grande: non toccare».


La terapia genica

E racconta: «A volte i miei amici che avevano avuto un rapporto venivano da me a chiedere consiglio: ora devo fare il test? Neanche allora mancavano i negazionisti, secondo cui la malattia era inventata. Papà ricevette diverse minacce. Ricordo anche che spesso si consultava in famiglia prima dei suoi interventi pubblici». Il padre Ferdinando nel 1991 baciò Rosaria Iardino, ragazza sieropositiva, per dimostrare che l’Hiv non si trasmette così: «Fummo sorpresi. Mia mamma, dopo la perplessità iniziale, capì che voleva lanciare un messaggio contro la discriminazione e lo accettò». La terapia genica però «è costosa. Siamo riusciti a metterla a punto dal punto di vista scientifico, ma la sostenibilità economica sta creando problemi. Diverse aziende farmaceutiche si sono tirate indietro per mancanza di profitto. Telethon ha appena deciso di produrre in proprio la terapia per l’Ada Scid per non abbandonare i pazienti».

I ragazzi curati

I ragazzi curati tornano a Milano «Ogni anno per i controlli insieme alla famiglia. Rivederci è sempre una festa. Sul muro aggiungiamo nuove foto per le gare sportive, la patente, i successi a scuola, per quel bambino che non poteva uscire di casa per il timore di infettarsi e ora è tutto sporco di terra. Fra gli ultimi c’è un ragazzo ucraino che pochi giorni dopo lo scoppio della guerra ha avuto la diagnosi di leucodistrofia metacromatica». Magari studieranno medicina: «A me piace far affacciare i ragazzi in laboratorio. C’è chi si è emozionato guardando al microscopio le proprie cellule del sangue guarite. Mi chiedo se qualcuno di loro un giorno prenderà il mio posto, allungando quella linea rossa che oggi ci ha portato fin qui».

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