L’allenatore Ottavio Bianchi ricorda Maradona: «Ecco quando ho capito che con lui non c’era nulla da fare»

Il mister che ha portato lo scudetto a Napoli: la città mi trasmette gioia di vivere

Ottavio Bianchi è l’allenatore che ha portato al primo scudetto il Napoli di Diego Armando Maradona. Ma oggi in un’intervista al Corriere della Sera ci tiene prima di tutto a smentire la sua fama di duro: «Uno stupido luogo comune. Sono stato cresciuto nella cultura del lavoro. Il motto del mio primo allenatore, Renato Gei, era: «laurà, laurà, laurà» (lavorare, lavorare, lavorare, ndr). A questo sono sempre stato fedele, anche se forse avrei potuto essere meno intransigente con me stesso». Poi parla del suo rapporto con la città: «Sono sempre stato accettato come sono e i napoletani non hanno mai pensato di cambiarmi. Ricordo, da giocatore, il primo incontro con Achille Lauro. Mi disse: “Guaglio’, m’avevano detto che tenevi la capa tosta”», dice nel colloquio con Cesare Zappieri.


Napoli e la gioia di vivere

A Bianchi Napoli trasmette «la gioia di vivere. Basta saper osservare e ascoltare, è un insegnamento continuo. L’importante è non farsi assorbire». Per lui quello scudetto «è stata una gioia incontenibile, con importanti risvolti sociali. Ma abbiamo ottenuto quello che meritavamo, niente di più». E non solo grazie a Maradona: «Sono più importanti il collettivo e l’organizzazione di gioco». Con il calciatore ha avuto scontri, «ma mi ha sempre rispettato». Mentre sulla sua fine così triste Bianchi osserva che «avrebbe dovuto fare una vita più regolare, evitare certe frequentazioni. Un giorno gli dissi che avrebbe fatto la fine di un pugile allo sbando. “Vuoi proprio finire come Monzón?” (il pugile argentino che morì a 52 anni in un incidente stradale mentre tornava in carcere dove scontava la pena per l’omicidio della terza moglie, ndr). “Lei ha ragione, mister”, mi rispose,“ma io voglio vivere la vita con il piede che spinge sull’acceleratore.” Allora mi resi conto che non c’era niente da fare».


I presidenti

Tra i presidenti ricorda con piacere proprio «Corrado Ferlaino (Napoli): un uomo dalle intuizioni geniali. Poi Dino Viola (Roma): mi ha insegnato a fare il dirigente. Ed Ernesto Pellegrini (Inter): una persona leale». Massimo Moratti (Inter) invece «mi ha inflitto il primo e unico esonero della mia carriera. Ma era giovane e schiacciato dal peso di cotanto padre. Ho nel cuore anche Achille Bortolotti (Atalanta) Romano Freddi (Mantova) e Gerardo Pelosi (Avellino)». E oggi non ha nostalgia del calcio: «Nessuna. Non sarei adatto. La mia educazione era completamente diversa. Dovrei ritornare a scuola».

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