Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano è solo il capostipite della grande famiglia di parole in «inglese farlocco» utilizzate nella lingua italiana. A sostenerlo, partendo proprio dal brano del 1973, è un articolo a firma di Amy Kazmin pubblicato il 4 ottobre sul Financial Times, che ci incorona campioni di fake English. E non per le song che passano in radio, ma per una miriade di parole che usano termini inglesi ma che inglesi non sono. Nel senso che un madrelingua non parlerebbe mai di self bars riferendosi ai distributori automatici delle stazioni, così come non si azzarderebbe mai a salire su un pullman per spostarsi da una città all’altra, semmai su un coach. Al massimo, aiutato dalla benevolenza di sconosciuti autisti farebbe hitchhiking, ma certamente non autostop. Allo stesso modo, se per un britannico o uno statunitense il lifting è un’attività tipica della palestra, per gli italiani è un intervento di chirurgia estetica, che in inglese si chiama facelift.
«Le parole diventano contenitori vuoti»
Alcune parole, come computer passano dall’inglese all’italiano senza cambiare il proprio significato, mentre altre ne assumono uno totalmente nuovo che lascia di stucco i madrelingua, continua l’articolo citando la linguista Licia Corbolante, che ama definire questa pratica «inglese farlocco». «Usare l’inglese, trasmette modernità, freschezza, progresso tecnologico e, in un certo senso, status», sostiene Corbolante. Le parole diventano «contenitori vuoti che possono essere riempiti con qualunque significato si voglia attribuire loro». E così per il bonus trasporti si parla di click day mentre per i migranti di hotspot. La politica non è esente dall’anglomania, come dimostrano il Jobs Act renziano e ministero al Made in Italy del governo Meloni, che pure ha l’appoggio di chi come il meloniano Fabio Rampelli vorrebbe vietare l’uso dell’inglese innecessario nella pa e punirlo con delle sanzioni. Nonostante sia stata la stessa premier a definirsi un underdog nelle scorse elezioni.
Che cringe tutto questo inglese farlocco
Si passa poi al gergo del business milanese – «entro in call», «ti brieffo», «scheduliamo». Ma anche fuori da questo ambito molti italiani lavorano in smart working, che però in inglese si chiama remote working o work from home. Anche i giovani generano molti ibridi, come la boomerata, oovero cose che farebbero i baby boomer. Estremamente in voga è anche il cringe, tipicamente italianizzato in cringiare, per qualcosa di inquietante o imbarazzante. Insomma, l’inglese sta distruggendo l’italiano? Non secondo Corbolante, che considera la pratica un semplice segno di vitalità e dinamismo. Noi italiani «prendiamo il materiale estraneo e lo adattiamo alle nostre esigenze».
In copertina: Selfbar.it / Self Bar alla stazione di Milano Centrale
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