Sono quattro i grandi capitoli di spesa previsti dalla legge di Bilancio 2024, varata oggi – 16 ottobre – dal Consiglio dei ministri e che dovrà passare al vaglio delle Camere. Dei quasi 24 miliardi di euro previsti, 10 andranno al taglio del cuneo fiscale, 5 miliardi saranno impiegati per le migliorie ai contratti della Pubblica amministrazione, 4,5 miliardi per l’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef, con l’aliquota al 23% che sarà applicata fino ai 28 mila euro di reddito, e 3 miliardi saranno destinati alla sanità. Le restanti voci di spesa sono inferiori. Già durante la conferenza stampa in cui Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini, Giancarlo Giorgetti e Maurizio Leo hanno presentato le misure, le forze di opposizione hanno iniziato a muovere le prime critiche al testo. La scarsità di risorse destinate alla sanità è il principale bersaglio del centrosinistra, anche perché il capo dell’esecutivo, parlando i giornalisti, ha derubricato a «bugie» le accuse di aver ridotto i fondi sul comparto. Meloni ha rivendicato, anzi, di aver aumentato la spesa sanitaria di 3 miliardi di euro, al fine di abbattere le liste di attesa, e di aver previsto «l’investimento più alto di sempre» per il Fondo sanitario nazionale, portandolo a 136 miliardi di euro. Sarà pur vero, ma è altrettanto vero che si tratta di cifre espresse in numeri assoluti e che non tengono conto della spinta inflazionistica.
Il peso dell’inflazione
Sono stati gli esponenti grillini delle commissioni Affari sociali i primi a farlo notare: «È inaccettabile quanto detto da Meloni in conferenza stampa sulle risorse destinate alla sanità. Ben vengano i 3 miliardi in più per le liste d’attesa, ma il governo non si illuda che siano anche solo lontanamente sufficienti. Quanto al finanziamento del Fondo sanitario nazionale, poi, le frasi di Meloni sono inqualificabili. La spesa sanitaria sale ogni anno, ma lo stesso fanno spese e costo della vita. È dunque inutile tenere conto della spesa lineare, perciò si usa il parametro della spesa in rapporto al Prodotto interno lordo. Per raggiungere il livello della media europea, garantito dal Movimento 5 stelle nel 2021, quindi già dopo il rimbalzo del Pil, a questo governo mancano circa 20 miliardi. È gravissimo che Meloni parli di “giochino” del Pil, perché qui l’unica a fare giochetti è lei e li fa sulla pelle dei cittadini e del loro diritto alla salute». In una singolare analogia espressiva, sia Azione sia Alleanza verdi sinistra definiscono la Manovra del governo alla stregua di «gioco delle tre carte». La deputata Luana Zanella, ha imputato a Meloni di parlare «del capitolo sanità pubblica ingarbugliando i numeri». Il rapporto della spesa sanitaria con il Pil «resta tra i più bassi a livello di Unione europea e non tiene in alcun conto l’inflazione. Per le liste di attesa, sono pronti 600 milioni a beneficio dei privati. L’investimento della destra nella sanità è una svendita e a Meloni piace il gioco delle tre carte».
La sanità e il gioco delle tre carte
Per il partito di Carlo Calenda, «gli annunciati 3 miliardi per la sanità sono come il gioco delle tre carte, poiché già totalmente impegnati per il rinnovo del contratto dei medici, a invarianza di personale, e per il payback dei dispositivi. Dunque nessuna reale risorsa aggiuntiva per migliorare i servizi, per nuove assunzioni e per le liste di attesa. Anzi, le risorse in termini reali, al netto dell’inflazione, calano». Lo hanno scritto in una nota Alessio D’Amato, responsabile Welfare della segreteria nazionale di Azione, e Walter Ricciardi, responsabile Sanità. «Dopo la pandemia serve ben altra risposta, considerando che tra i grandi Paesi europei siamo tra quelli che investono di meno nel servizio sanitario a parità di potere di acquisto. Sulle liste di attesa, pensare di puntare solo sulla detassazione degli straordinari è irrealistico e non affronta il problema della spesa privata delle famiglie che ha raggiunto la cifra record di 40 miliardi, con un tasso di crescita del 5 per cento annuo. Crediamo che bisogna fare di tutto per modificare tale Manovra». Alessandro Zan, deputato del Partito democratico, su X ha accusato Meloni di «favorire la sanità privata e di negare le cure a chi è più in difficoltà». La senatrice di Italia Viva Daniela Sbrollini, poi, ha annunciato «battaglia in Parlamento» attraverso i propri emendamenti «e sperando di far cambiare rotta alla maggioranza. Sempre che sia possibile discutere la legge di Bilancio in Senato e non si decida di procedere a colpi di fiducia».
«Il “no” agli emendamenti è un’operazione gravissima che umilia il lavoro del Parlamento»
E quella della discussione parlamentare è l’altra questione che ha fatto insorgere le opposizioni, in concomitanza con la conferenza stampa. Parlando ai giornalisti, sono stati i leghisti Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti a riferire che deputati e senatori del centrodestra non presenteranno emendamenti al testo. Salvini è stato più netto, affermando che «sarà una Manovra senza emendamenti di maggioranza». Il ministro dell’Economia, invece, ha usato toni più morbidi: «Mi piacerebbe che i parlamentari della maggioranza apprezzassero il lavoro che è stato fatto ed approvato oggi e, quindi, evitassero di presentare emendamenti». Evidentemente, l’auspicio è che i parlamentari del centrodestra rinuncino all’autonomia che è data loro dal ruolo, restringendo i tempi del confronto parlamentare. Considerando che, sempre in conferenza stampa, sulla questione Mes gli esponenti dell’esecutivo hanno invece scaricato sul Parlamento l’onere della scelta – «il governo farà quello che dirà il Parlamento» ha detto Giorgetti – l’invito ai parlamentari a non correggere la Manovra rivela una certa contraddizione. Dalle opposizioni, è stato il capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia, il primo a protestare: «Ci sembra che il governo, ormai alla disperazione, stia cercando di fare una operazione gravissima: umiliare in un colpo il lavoro del Parlamento e la sua stessa maggioranza. Vedremo se sarà vero, e dubito che i parlamentari di maggioranza accetteranno questo diktat, ma annunciare, come fa Salvini, che non ci saranno emendamenti a questa Manovra da parte dei gruppi che sostengono il governo, con la probabile bocciatura di quelli dell’opposizione, ci sembra un colpo pericolosissimo alle più elementari regole della nostra democrazia parlamentare».
Spese fatte in deficit, ritardi sul Pnrr e costi per il Ponte sullo Stretto
Oltre sanità e democrazia parlamentare, le forze di centrosinistra hanno calcato su molti altri aspetti della legge di Bilancio 2024. «Fare una Manovra in deficit, senza alcuna strategia per la crescita, significa proiettare sul futuro immediato un aumento del debito in una fase di alti tassi di interesse e mercati finanziari preoccupati», ha dichiarato Benedetto Della Vedova, di +Europa. Carlo Calenda, leader di Azione, ha definito la Finanziaria «populista e pericolosa», aggiungendo: «Quattordici miliardi di tagli provvisori di tasse fatti in deficit, cioè indebitando i cittadini. Poco e nulla su sanità e scuola, i diritti fondamentali dei cittadini oggi compromessi. Dal Pnrr, dove il confronto con la Spagna è impietoso, alla politica industriale, questo governo non sta riuscendo a far accadere nulla». Il leader dei Verdi Angelo Bonelli, infine, ha insistito nella sua battaglia contro il Ponte sullo Stretto, per il quale la Manovra prevede già le prime risorse: «Come si può pensare di utilizzare 12 miliardi di euro, come confermato da Giorgetti, per un progetto del genere di fronte a un Paese in ginocchio dal punto di vista del trasporto pubblico locale e dei servizi pubblici essenziali?».
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