«Abbiamo perso commilitoni, ma la sola difesa armata condanna Israele ad attacchi più gravi», la lettera di un ex militare “pacifista” israeliano

Uno dei fondatori di Breaking the silence, l’organizzazione di veterani israeliani per la pace, ha inviato una lettera all’ex presidente della Camera, Laura Boldrini. Che a Open dice: «Una fetta importante della società israeliana che si rifiuta di farsi fagocitare dalla spirale di odio e violenza»

Breaking the silence è una delle organizzazioni impegnate per la pace più note di Israele perché composta da veterani dell’esercito che si mobilitano attivamente chiedendo dell’occupazione dei Territori. Dopo l’aggressione terroristica di Hamas del 7 ottobre hanno continuato ad organizzare iniziative pubbliche intervenendo sulle maggiori testate internazionali. Uno dei fondatori ha inviato una lettera molto accorata all’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha scelto di condividerla con Open: «All’indomani del brutale attacco terroristico di Hamas, lo scorso 7 ottobre, ho pensato tante volte ai miei conoscenti in Israele, alle persone di cui avevo apprezzato il lavoro e con cui sono rimasta sempre in contatto – spiega – Poi mi sono decisa e ho inviato una email di solidarietà agli attivisti di Breaking the Silence, l’associazione israeliana di ex militari con cui, insieme a ong palestinesi, poco più di un anno fa ho visitato la Cisgiordania e Gerusalemme est. Qualche giorno dopo, è arrivata la risposta. Un testo che testimonia che c’è una fetta importante della società israeliana che si rifiuta di farsi fagocitare dalla spirale di odio e violenza, mantiene uno sguardo lucido e lavora insieme a tante associazioni della società civile palestinese per affermare la pace. Una voce che deve essere ascoltata. Per questo ho chiesto all’autore se era d’accordo a rendere pubblica la sua email. Spero che questa testimonianza sia utile ad affermare un concetto che vale per entrambe le parti: oggi solo chi ha sempre creduto nella convivenza pacifica rifiutando l’occupazione e i metodi violenti, può creare basi solide sulla strada di due popoli due stati». Pubblichiamo la lettera omettendo le generalità dell’autore (che abbiamo verificato) per motivi di sicurezza.


La lettera

Cara Laura,


grazie per la tua solidarietà. Quello che sta accadendo è davvero terribile, e io sto ancora cercando di mettere bene a fuoco gli avvenimenti che, purtroppo, hanno colpito anche me da vicino. Due membri di Breaking the Silence, infatti, sono stati uccisi da Hamas. Uno di loro, S. T., era un mio caro amico: faceva parte della prima squadra di difesa del kibbutz di Be’eri, e ha combattuto per sette ore di fila fino a esaurire le munizioni. Hamas ha ucciso lui e i suoi compagni. L’altro era H. K.: lui, invece, è stato ucciso nel kibbutz di Holit. 

Molti amici e attivisti hanno perso familiari o hanno visto rapirne altri da Hamas. È successo pure al presidente di Breaking the Silence, la cui zia ultraottantenne è stata sequestrata. Una tragedia che ci devasta, ma ciò nonostante cerchiamo tutti di riempire il buco che abbiamo nel cuore con l’umanità e l’empatia, anziché con la rabbia, la collera e il desiderio di vendetta. Il mio pensiero, è ovvio, va anche alla popolazione civile di Gaza, per la quale, temo, l’orrore è appena iniziato. Stiamo facendo tutto ciò che è nelle nostre facoltà per far risuonare la voce della ragione e ottenere la tutela dei civili a Gaza. Credo che una delle azioni più importanti da mettere in campo sia far circolare le dichiarazioni di quanti, fra gli israeliani, sono stati colpiti dagli attacchi di Hamas e malgrado questo si rifiutano di perdere fiducia nei valori umani e nella compassione. Sono convinto che meritino di essere ascoltati e condivisi.

La prima che voglio segnalarti è la testimonianza di una ragazza di 19 anni sopravvissuta all’attacco al kibbutz di Be’eri, che chiede condotte giuste e soluzioni politiche invece che l’innesco di una spirale di vendetta. Lo ha dichiarato in una videointervista pubblicata su X dall’account @OrlyBarlevEng. È lunga, ma vale la pena di guardarla dall’inizio alla fine.

La seconda rilevante testimonianza è quella di Ziv Stahl, direttrice di Yesh Din-Volunteers for Human Rights, che ha scritto un articolo per il quotidiano Haaretz dopo essere stata a Kfar Azza lo scorso 7 ottobre. Lei sostiene che il bombardamento indiscriminato di Gaza non è la soluzione. È poi importante leggere e far circolare l’editoriale scritto dalla figlia di una donna di 84 anni rapita il 21 ottobre nel kibbutz di Nir Oz. Lei chiede, in nome della madre, di non annientare Gaza.

A essere sincero, al momento non vedo una exit strategy ben congegnata e facile da seguire. Ma quando la guerra sarà finita, sono certo che si porranno molte domande sul fallimento dell’intelligence e delle politiche del governo israeliano. Sarà importante utilizzare quel momento per sollevare il problema della prolungata posizione di Netanyahu tesa a frammentare il quadro politico palestinese tra Hamas e l’Autorità nazionale palestinese, indebolendo l’Anp e rafforzando Hamas, come strategia per evitare di impegnarsi nel processo di pace. Spero che sempre più persone capiscano che affidarsi unicamente alla forza militare per garantire la sicurezza di Israele, sebbene in apparenza possa risultare efficace nella repressione dei rischi, alla lunga renderà Israele vulnerabile agli attacchi più gravi. L’abbiamo appena visto: basta un giorno di fallimenti operativi per avere un impatto devastante. Per sconfiggere una volta per sempre la violenza, va cercata una soluzione politica.

Così come spero che un giorno sarà chiaro a tutti che non aver affrontato le cause del conflitto israelo-palestinese – ritenendo più importante l’impegno per una normalizzazione dei rapporti con i paesi del Golfo o i tentativi di «gestire il conflitto» – ha avuto un peso enorme nel portarci oggi a vivere in un luogo brutale e disumano. Se davvero si vogliono salvare le vite degli ebrei e dei palestinesi, bisogna risalire alle ragioni profonde della tragedia che stiamo vivendo, che sono l’occupazione dei territori e le offensive militari. Solo una soluzione politica che punti all’uguaglianza e all’autodeterminazione di entrambi i popoli porterà pace e sicurezza.

Grazie ancora per la tua solidarietà e il tuo supporto.

(Lettera firmata)

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