L’anno d’oro delle banche, dopo il flop della tassa sugli extraprofitti: «Nel 2023 oltre 43 miliardi di utili»

I cinque principali istituti di credito italiani hanno preferito mettere a riserva quattro miliardi, anziché pagare la tassa introdotta dal governo Meloni. E con l’aumento dei tassi, gli utili volano

L’aumento dei tassi di interesse da parte della Bce fa volare i risultati delle banche, che potrebbero chiudere il 2023 con un utile di 43,4 miliardi di euro, in crescita del 70% rispetto ai 25 miliardi dello scorso anno. Lo prevede una proiezione della Fabi, la Federazione autonoma bancari italiani. «Le nostre previsioni confermano che il settore sta attraversando una fase straordinaria: questi risultati legittimano le nostre richieste economiche per il nuovo contratto nazionale, a cominciare dall’aumento medio mensile di 435 euro», commenta il segretario del sindacato Lando Maria Sileoni. Se si confronta la previsione per il 2023 con i dati del quinquennio precedente, ci si accorge che gli utili per le banche italiane sono quasi triplicati. Nel 2021, gli utili si attestavano a 16,4 miliardi, nel 2019 a 15,7 miliardi, nel 2018 a 15,1 miliardi, mentre nel 2020 – complice la pandemia da Covid – il risultato complessivo fu di soli 2 miliardi.


L’anno d’oro delle banche

Le previsioni di Fabi confermano che il 2023 sarà ricordato come un anno d’oro per i profitti delle banche italiane. Una situazione determinata soprattutto dal «rapido e imponente rialzo dei tassi di interesse» da parte della Bce. A gioire sono soprattutto gli azionisti, che si attendono ora un pay-out in media del 46% sugli utili. A essere positivi non sono solo i risultati economici, ma anche le condizioni generali di salute del sistema, che registra progressi in termini di liquidità e di patrimonializzazione, con livelli di solidità – evidenzia la Fabi – «ben superiori ai requisiti minimi stabiliti dalle autorità di vigilanza».


Il flop della tassa sugli extraprofitti

A contribuire al risultato record del 2023 ha contribuito anche la decisione delle banche di non pagare la tassa sugli extraprofitti introdotta dal governo. Secondo le stime dell’esecutivo, la misura avrebbe dovuto garantire alle casse dello Stato ben tre miliardi di euro. A settembre, però, il governo ha offerto alle banche una scappatoia: al posto di pagare la tassa, gli istituti di credito hanno potuto destinare gli utili a riserva, senza la possibilità di distribuirli agli azionisti. E così hanno fatto quasi tutte le più grandi banche: Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Bper, Popolare di Sondrio, Credem e Mediobanca. Una scelta che, prendendo in considerazione solo i primi cinque istituti di credito, si traduce secondo Fabi in una quota di 4,2 miliardi di euro messi a riserva.

Calano gli impieghi

L’analisi della terza trimestrale sui conti dei primi cinque gruppi bancari italiani fa emergere però anche un problema. Nonostante gli utili in forte aumento, l’Italia ha fatto registrare un calo degli impieghi – ossia dei finanziamenti concessi dalle banche – «che non trova riscontro in Europa». A insistere su questo punto è il sindacato First Cisl, con il segretario Riccardo Colombani che parla di una situazione «preoccupante». Nei primi 9 mesi del 2023, gli impieghi bancari sono diminuiti del 5,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Una situazione, precisa la Cisl, «in controtendenza con i maggiori Paesi europei», nonostante sia «ragionevole ipotizzare che non vi siano grandi differenze nella domanda di credito di famiglie e imprese».

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