La nuova indagine sull’agenda rossa di Paolo Borsellino: «Era a casa del poliziotto La Barbera»

L’inchiesta della procura di Caltanissetta: un testimone parla, scattano le perquisizioni

L’agenda rossa di Paolo Borsellino è rimasta nascosta in casa dei familiari di Arnaldo La Barbera. Ovvero l’ex capo della squadra mobile di Palermo morto nel 2022 a causa di un tumore. La rivelazione ai magistrati di Caltanissetta è stata fatta proprio da una persona vicina alla famiglia. Mentre il mese scorso sono scattate alcune perquisizioni nell’indagine aperta dalla procura. I carabinieri del Ros sono arrivati a casa della vedova e di una delle figlie, rispettivamente a Roma e a Verona. Ma non hanno ottenuto risultati. Dell’inchiesta che porta di nuovo al centro il caso dell’agenda rossa del giudice assassinato insieme alla sua scorta il 19 luglio 1992 in via d’Amelio parla oggi Repubblica.


Il decreto di perquisizione

Il decreto di perquisizione collega un nuovo fotogramma dei momenti della strage con la pista d’indagine che riguarda il colonnello Giovanni Arcangioli. Quest’ultimo è stato fotografato mentre teneva in mano la borsa del giudice. Arcangioli, secondo l’ipotesi investigativa, avrebbe consegnato la borsa a un ispettore di polizia. Poco dopo sarebbe finita nella stanza di un dirigente. Arcangioli scrisse la relazione soltanto cinque mesi dopo l’accaduto. Il tribunale di Caltanissetta ha scritto nella sentenza sul depistaggio che La Barbera «ha avuto un comportamento inqualificabile. Dapprima disse alla vedova che la borsa del marito era andata distrutta. Poi gliela restituì mesi dopo, negando la presenza dell’agenda rossa. All’epoca fu la figlia Lucia a discutere con La Barbera.


La sentenza

«A fronte dell’insistenza della ragazza, che usciva persino dalla stanza, sbattendo la porta il dottor La Barbera, con la sua voce roca, disse alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica, in quanto delirava e farneticava», ha ricostruito il tribunale. «Un atteggiamento che rivelava non solo un’impressionante insensibilità per il dolore dei familiari di Paolo Borsellino, ma anche un’aggressività volta a mascherare la propria evidente difficoltà a rispondere alle domande poste, con grande dignità e coraggio, da Lucia Borsellino». Nella sentenza per il depistaggio scaturita dalle dichiarazioni del falso pentito Paolo Scarantino i giudici hanno scritto che rimane il dubbio se sulla vicenda della relazione ci sia stata negligenza o qualcosa di più.

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