Alessandra Accardo, la poliziotta stuprata a Napoli: «Dopo giorni sentivo ancora la puzza di lui, ma ora non ho più paura»

L’aggressore è stato condannato a 14 anni di carcere: «Per ogni vittima gli anni di pena saranno sempre troppo pochi»

Alessandra Accardo è una poliziotta della questura di Napoli. Nell’ottobre 2022, mentre stava tornando a casa dopo aver finito il suo turno, viene aggredita da un uomo nella zona del porto. Un 23enne cittadino del Bangladesh la picchia e la violenta. Lui è stato condannato nel marzo 2023 per violenza sessuale e tentato omicidio a 14 anni con il rito abbreviato. Lei invece è tornata a lavorare. E ha deciso di non farsi intrappolare dalla paura: «Avevo un versamento nell’occhio, ho una collezione di cicatrici e un punto di sutura in fronte. Oltre a ferite ancora evidenti alle ginocchia. Ma una cosa non ho: la paura». E intanto ha deciso di metterci la faccia e parlare di quello che le è successo: «Le vittime vanno ascoltate con rispetto. Condividere il dolore aiuta te e gli altri».


Condividere il dolore

Ieri Alessandra Accardo ha partecipato a un incontro organizzato dall’istituto Notarangelo-Rosati di Foggia. Poi ha parlato in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. «Oggi sono una donna felice. Ho un compagno che mi adora e che adoro, ho ripreso palestra, corso di ballo, lavoro. Mi sono ripresa la mia vita e cerco di aiutare gli altri con la mia testimonianza», dice a Giusi Fasano. Ma ricorda che il giudice e gli altri presenti «piangevano guardando le fotografie di come ero combinata dopo 20 minuti di furia». Oggi, quando alla tv parlano di femminicidi «parlo da sola. Mi arrabbio con la televisione. Qualsiasi storia di violenza io la sento amplificata». E racconta quella sera: «Era appostato, a parecchi metri di distanza. Io mi sentivo tranquilla, sono arrivata alla macchina e stavo per aprirla quando l’ho visto correre verso di me. Il primo istante ho pensato fosse lo scherzo di qualche collega, poi ho capito che voleva aggredirmi e ho creduto fosse una rapina. E invece…».


Un dettaglio

E ancora: «Ricordo il suo gesto: si è messo l’indice davanti alla bocca e mi ha detto “zitta”. E poi tutto il resto… Lo hanno catturato i colleghi poche ore dopo. Un bengalese». Dice di non voler giudicare la condanna a 14 anni: «È materia dei giudici. E non ragiono sul numero di anni. Tanto non basterebbe una vita intera. Per ogni vittima gli anni di pena saranno sempre troppo pochi. Io sono una poliziotta, so che i giudici fanno bene il loro lavoro. Questo mi basta». Dei primi giorni dopo lo stupro ricorda «un dettaglio: mi pettinavo in giardino perché nei capelli avevo ramoscelli, terriccio, cattivi odori, e mi faceva schifo sporcare la casa con quella roba. Venivano le persone a trovarmi, si avvicinavano per abbracciarmi e a volte le allontanavo per non trasmettergli la puzza di lui che sentivo addosso. Ci è voluto un po’ per liberarmene. Ma in un certo senso il “dopo” mi ha anche fortificata».

Il vaffa dallo stupratore

Infine, Alessandra spiega come è riuscita a sopravvivere quella sera: «Semplicemente ho fatto il possibile per respirare e lui, avuto quello che voleva, se n’è andato. Mi ha detto: “vaff…, ora me ne vado io e poi tu”. Mi sono presa anche il vaffa dallo stupratore… Ma la differenza fra me e lui è che io ora vivo e, appunto, sono felice. Lui non credo proprio».

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