Perché l’avvocata e le psicologhe di Alessia Pifferi sono indagate: «Vogliono scardinare il sistema per ottenere la perizia»

L’accusa del pm De Tommasi e le intercettazioni

Alessia Pontenani, l’avvocata della difesa di Alessia Pifferi, e le psicologhe Paola Guerzoni e Letizia Marazzi sono indagate per favoreggiamento e falso ideologico. Pifferi ha lasciato morire la figlia Diana, 18 mesi, di stenti. Le due psicologhe avevano scritto una relazione sostenendo il deficit intellettivo dell’imputata. A firmare l’indagine il pm Francesco De Tommasi, che non ha informato dell’accusa l’altra pubblica ministera del processo Letizia Mannella. A conoscenza di tutto solo il procuratore Marcello Viola. Agli atti ci sono intercettazioni telefoniche e ambientali. De Tommasi durante un’udienza nell’autunno 2023 aveva detto: «Non ci sto a essere preso in giro» riguardo le affermazioni della difesa. E aveva contestato i test della difesa.


Estrapolazione deduttiva

Parlando di «estrapolazione deduttiva» e di una vera e propria «tesi difensiva» dietro le perizie. Finalizzata, spiega oggi il Corriere della Sera, a «creare, con false attestazioni sullo stato mentale della detenuta, le condizioni per tentare di giustificare la somministrazione del test psicodiagnostico Wais». Ma senza seguire «buone prassi di riferimento». E con «esiti incompatibili con le effettive caratteristiche psichiche della detenuta». Il tutto per ottenere la perizia psichiatrica. Secondo le intercettazioni l’avvocata e le consulenti hanno sottoposto Pifferi a «un vero e proprio “interrogatorio” per acquisire informazioni su contenuti e tipo dei test somministrati a Pifferi» dalla perizia d’ufficio. Hanno fatto una «chiacchierata tra amiche», con «scambio di baci» e «risate». E avrebbero posto anche domande «attinenti alle contestazioni sollevate dal pm».


Un movente antisociale

Il pm ha ravvisato nei colloqui «un movente antisociale». E le accusa di voler «scardinare il sistema goccia a goccia». L’Ordine degli Avvocati e la Camera penale hanno contestato «la peculiarità che un pm, oppostosi nel processo a una perizia sulla capacità dell’imputata chiesta anche sulla base del diario clinico, abbia ritenuto di indagare anche il difensore che ha utilizzato un documento ufficiale del carcere per chiedere la prova. Non possiamo non stigmatizzare queste modalità di azione: è difficile non avere, nei panni della collega, la sensazione di un implicito invito a fare un passo indietro».

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