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Sanremo 2024, dieci anni di vincitori maschi e quel rumor su Amadeus che «vuole far trionfare una donna»

29 Gennaio 2024 - 17:49 Gabriele Fazio
Il Festival non ha mai avuto un direttore artistico donna. E questa non è una decisione del pubblico, ma della Rai, e non è mai stata spiegata. Che sia questo il vero problema di genere all'Ariston?

Sono passati dieci anni dall’ultima volta che una voce femminile ha vinto il Festival di Sanremo. Lei era Arisa, la canzone Controvento, da lì in poi il Teatro Ariston ha celebrato solo uomini. Voci di corridoio, le solite prefestival, dicono infatti che ad Amadeus non dispiacerebbe che in questo suo presunto ultimo Festival a trionfare fosse una donna. Il dato effettivamente fa riflettere, ma sarebbe il caso di fare chiarezza, soprattutto per evitare che si inneschi una facile caccia alle streghe. Prima di tutto il Festival in sé va esentato da colpe riguardo il risultato di un artista di uno o l’altro sesso, dato che ormai da anni vige la dura legge del televoto, quindi al netto delle votazioni di eventuali giurie di qualità, sale stampa e famigerate giurie demoscopiche, alla fine, dall’introduzione del televoto in poi, è il pubblico da casa, come se fosse un reality qualsiasi, a fare la propria scelta ed è una scelta che è logico pensare nulla abbia a che fare con il sesso di chi sta cantando una determinata canzone. Inoltre il Festival non si può dire certo che sia a trazione maschile, basta sfogliare l’albo d’oro per rendersi conto che c’è una dignitosa rappresentanza di donne. La primissima edizione del Festival è stata vinta da una donna, Nilla Pizzi. Tra il 1995 e il 1999 a vincere sono state solo donne, nell’ordine: Giorgia, Tosca (insieme a Ron), i Jalisse (un duo), Annalisa Minetti e Anna Oxa. Nel 2000 c’è uno stop con gli Avion Travel, ma nelle successive tre edizioni vincono ancora donne: Elisa, Matia Bazar e Alexia.

Le donne nella musica italiana di oggi

Allora forse è il caso di tornare sull’indiziato televoto, ovvero ai gusti degli italiani, alla rappresentazione plastica di un problema, negli ultimi anni ampiamente dibattuto, che riguarda l’intera discografia italiana. Per dire, prendiamo la Top 50 di Spotify di questo weekend: solo in sette brani si può ascoltare il contributo di una voce femminile; e parliamo di contributo, perché si tratta della rapper ANNA (quattro brani) e della popstar Elodie (appena due) e sono entrambe sempre e solo ospiti in featuring di canzoni di colleghi uomini; e poi c’è Angelina Mango, unica donna solista su 50 pezzi, posizione numero 48. La situazione è perlomeno desolante. Stessa cosa se guardiamo alle classifiche della FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana), quella, per intenderci, che distribuisce ogni settimana i dischi d’oro e di platino: nella top ten degli album più venduti nemmeno una donna, sono solo tre (Annalisa, Elisa ed Emma) nelle prime 50 posizioni. Ma al momento è impossibile analizzare con precisione quali siano le motivazioni di questi numeri, quale il confine tra una discografia che riflette le stesse identiche, e naturalmente malsane, meccaniche patriarcali di tutti gli altri settori della nostra società e i semplici gusti del pubblico, quello stesso pubblico che poi, armato di smartphone, vota tra i finalisti del Festival di Sanremo.

Le canzoni in gara le sceglie sempre un uomo

Rivolgendo nuovamente lo sguardo verso l’Ariston, c’è un dato che invece va evidenziato e che riteniamo significativo riguardo il ruolo delle donne nell’industria musicale italiana: giunti alla 74esima edizione il Festival di Sanremo non ha mai avuto un direttore artistico donna. Per chi avesse meno dimestichezza con la kermesse: il conduttore ed il direttore artistico non sono due figure che convergono in maniera automatica, succede spesso che il conduttore si assuma anche la responsabilità della scelta del cast artistico ma si tratta di due ruoli differenti. Il conduttore ovviamente cura lo show televisivo, ciò che andrà in onda, il direttore artistico si occupa invece della materia prima, la musica. In realtà fu Pippo Baudo a metà degli anni ’90 a prendersi per la prima volta questa doppia responsabilità, poi si sono messi in scia Panariello, Bonolis, Fazio, Conti, Baglioni e Amadeus. Non lo sappiamo, non lo possiamo sapere, ma chissà se quando la conduzione è stata assegnata ad una donna come, andando a ritroso, Antonella Clerici nel 2010, Simona Ventura nel 2004, Raffaella Carrà nel 2001, Loretta Goggi nel 1986 o Maria Giovanna Elmi nel 1978 è stata data loro la possibilità di fare anche da direttrici artistiche del Festival, quello che sappiamo è che anche in quei casi, regolarmente, la scelta è ricaduta su uomini. Settantaquattro edizioni, ventinove direttori artistici: tutti uomini. Inutile dire che la figura di direttore artistico del Festival di Sanremo è certamente tra le più influenti del settore musica in Italia, Sanremo rappresenta la più importante vetrina per qualsiasi progetto, permette a qualsiasi artista, di qualsiasi genere, un’accelerata talmente potente da risultare anche alle volte di difficile gestione. Parliamo in effetti del più grande evento di costume del palinsesto culturale italiano, un evento che attira un’attenzione che non conosce paragoni nel nostro paese e che devia in maniera decisiva la carriera di chi ne è protagonista. Com’è possibile allora che una tale responsabilità, in una storia così lunga, non sia mai capitata nelle mani di una donna? Perché se guardiamo alla struttura interna dell’industria discografica notiamo che a dire il vero c’è una grossa percentuale di donne che occupano posti di assoluto rilievo: gli uffici stampa sono quasi tutti formati da donne, così come molte donne sono manager o guidano etichette facendo un lavoro straordinario; ma le canzoni del Festival di Sanremo le sceglie un uomo. Sempre. Certamente fino ad oggi. E questa non è una decisione del pubblico, questa è una decisione della Rai e che non è mai stata spiegata. E forse oggi, che è stata certificata la presenza di un problema, tra l’altro anche fortemente combattuto da associazioni come Keychange o Equaly, che si occupano proprio della parità di genere all’interno del music business, sarebbe il caso perlomeno di dare una risposta.

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