Baby influencer, i genitori che assecondano i pedofili per vendere contenuti esclusivi dei figli: le inchieste del New York Times e WSJ

Foto provocanti, sessioni di chat esclusive, commenti allusivi: cosa si nasconde negli abbonamenti di migliaia di minori sui social

Foto esclusive, sessioni private di chat, abiti indossati. Sono questi i contenuti messi in vendita, o in palio, dai genitori di baby influencer sui social network. Bambine e bambini che dai 13 anni in giù contano centinaia di migliaia di follower sulle piattaforme, sebbene a quella età non potrebbero neanche avere un profilo. E così ci pensano mamma e papà ad aprire e gestire i loro account. L’idea è quella di lanciare la carriera delle proprie figlie come modelle e influencer, l’obiettivo sempre lo stesso: aumentare i follower, attrarre i marchi per le collaborazioni. Ma quello che hanno scoperto il New York Times e il Wall Street Journal è più inquietante. Perché per riuscirci, molti genitori usano i propri figli minorenni come esca per pedofili. Aprendo degli abbonamenti occulti per aggirare le regole delle piattaforme social sui contenuti sessualmente espliciti, e inviare foto provocanti agli iscritti.


Oltre alle foto, mamme e papà incoraggiano i bambini e, soprattutto, le bambine, a trascorrere del tempo in chat con gli abbonati o mettere in vendita body e costumi indossati. Spesso sono gli stessi adulti a lasciare commenti allusivi sotto le foto dei propri figli, per coinvolgere gli altri follower. Il New York Times ha riferito che secondo una società di analisi i circa 5mila profili segnalati dal quotidiano hanno rilevato oltre 30milioni di collegamenti con profili di uomini adulti, e i post con più interazioni sono quelli con foto più esplicite. L’algoritmo “premia” poi questi contenuti, che vengono suggeriti ad altri profili potenzialmente interessati. Il Wsj ha portato l’esempio di altre piattaforme come Onlyfans e TikTok che hanno impedito la sottoscrizione di abbonamenti e la monetizzazione di account con immagini di minori, sottolineando come Meta abbia invece preferito affidarsi a un sistema automatico e poco efficace. E che tuttora viene difeso dal management: «Abbiamo lanciato strumenti di monetizzazione dei creator con una solida serie di misure di sicurezza e molteplici controlli sia sui creator che sui loro contenuti», ha detto il portavoce Andy Stone, affermando che l’azienda è seriamente impegnata nel contrasto alla diffusione della pedofilia sulle proprie piattaforme.


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