Come cambia la riscossione delle tasse nel nuovo decreto del governo
Se le cartelle dell’Agenzia delle entrate-riscossione, a decorrere dal 1° gennaio 2025, non saranno riscosse entro il quinto anno, saranno «automaticamente discaricate». Lo stralcio, anticipato dal Corriere della Sera, è previsto nella bozza del decreto legislativo relativo al riordino del sistema nazionale della riscossione, oggi in discussione al Consiglio dei ministri. Dal prossimo anno le cartelle di pagamento saranno notificate al creditore entro 9 mesi dall’affidamento del carico e in ogni caso, l’Agenzia delle entrate può trasmettere in qualsiasi momento all’ente titolare del credito la comunicazione di discarico anticipato delle quote, nei casi ci sia chiusura del fallimento o liquidazione giudiziale del debitore oppure una volta che sia stata verificata l’assenza di beni del debitore aggredibili. Fino alla prescrizione del diritto di credito, la riscossione coattiva può essere gestita direttamente dall’ente creditore, oppure affidata dall’ente creditore in concessione a soggetti privati individuati tramite procedura di gara a evidenza pubblica.
Una commissione per le cartelle non riscosse
Nella bozza del decreto è prevista una commissione ad hoc per trovare le soluzioni per ridurre il magazzino delle cartelle non riscosse. Gli step saranno un’analisi del magazzino e successivamente e una relazione al ministro dell’Economia «proponendogli le possibili soluzioni, da attuare con successivi provvedimenti legislativi, per conseguire il discarico di tutto o parte» entro: il 31 dicembre 2025 per i carichi affidati dal 2000 al 2010, il 31 dicembre 2027 per quelli affidati dal 2011 al 2017 e il 31 dicembre 2031 per quelli dal 2028 al 2024.
Rateizzazioni più lunghe: ecco come
In cantiere anche piani di rateizzazione più lunghi, dalle attuali 72 rate si passa a un massimo di 120 rate mensili. Ovviamente vale solo per i contribuenti in «obiettiva difficoltà». La rateizzazione partirà «su semplice richiesta del contribuente che dichiara di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà». A incidere sarà anche l’importo dovuto. Perle somme inferiori o pari a 120 mila euro la rateizzazione è possibile fra 84 quote (per le richieste presentate nel 2025 e 2026) e 108 (per le richieste presentate a decorrere dal primo gennaio 2029). Per le somme di importo superiore a 120 mila euro possono essere concessi pagamenti, fino ad un massimo di centoventi rate mensili, indipendentemente dalla data di presentazione della richiesta. Per le somme di importo fino a 120 mila euro il numero delle rate varia a seconda della presentazione della domanda ma si può comunque arrivare a 120. Questa possibilità riguarda chi «documenta la temporanea situazione di obiettiva difficoltà», con modalità diverse per somme superiori o inferiori a 120 mila euro. Per chi invece si limita solo a dichiarare di essere in temporanea obiettiva difficoltà e deve fino a 120 mila euro, le rate aumentano progressivamente ogni biennio, per raggiungere un massimo di 108 rate mensili dal 2029.
Da questa notte l’Atlantico è un po’ più stretto. Sulla sponda ovest, da settimane l’avanzata di Donald Trump nella corsa verso la Casa Bianca pare sempre più inarrestabile. Ma è sulla ben meno osservata sponda orientale dell’oceano, in Portogallo, che un degno emulo del tycoon americano ha fatto ieri manbassa di voti “veri”. Dando uno scossone storico al sistema politico portoghese, e inviando un altro segnale – l’ennesimo – del terremoto che potrebbe scuotere a giugno quello europeo. André Ventura, 41 anni, già docente di diritto, ispettore del fisco e telecronista, è il carismatico leader di Chega, il partito sovranista lusitano che ha sbaragliato i pronostici prendendo oltre il 18% dei voti nelle elezioni anticipate di ieri. Davanti, i due pilastri tradizionali del sistema politico, che di simile hanno solo il nome: il partito socialdemocratico (centrodestra) e il partito socialista (centrosinistra). Quest’ultimo, al governo da oltre otto anni sotto la guida di António Costa, è il chiaro sconfitto delle urne anticipate, convocate dopo le dimissioni di Costa per lo scandalo corruttivo che ha colpito alcuni degli uomini a lui più vicini. Guidati ora dal suo delfino Pedro Nuno Santos, i socialisti si sono fermati al 28,6%, pari a 77 seggi. Pochi di più, ma ben più “pesanti”, quelli portati a casa dal centrodestra guidato da Luis Montenegro, che con 79 seggi (in attesa di quelli dei portoghesi all’estero) può dirsi il vero vincitore delle elezioni. Ma se è vero che i due partiti si sono alternati con regolarità quasi aritmetica alla guida del Paese dal tempo dell’approdo alla democrazia (1976), è chiaro che la vera sorpresa delle urne è il boom di Chega.
«Instancabile nel proposito di cambiare il Portogallo», recita la laconica bio su X di Ventura. Chega (“Basta!”) se l’è inventato lui nel 2019, fuoriuscendo dal partito socialdemocratico (centrodestra) e fiutando il clima politico anti-élite negli anni di Trump, Brexit e 5 Stelle. Ingredienti principali della ricetta, quelli ormai ben noti di molti dei partiti sovranisti europei: linea dura sull’immigrazione clandestina e sulla cultura woke di sinistra che mette a repentaglio i valori occidentali. E poi ancora taglio delle tasse, decoro, sostegno “senza se e senza ma” alla polizia e all’indurimento del codice penale, con l’introduzione dell’ergastolo (oggi inesistente), della castrazione chimica per gli stupratori recidivi e (secondo parte dei membri del partito) della pena di morte. Condimenti da usare all’uopo: toni razzisti contro minoranze come Lgbtq+, rom e musulmani e accondiscendenti col regime fascista di Salazar. Dentro al partito i nostalgici si sentono a casa, e lo stesso Ventura ha giocato col fuoco del passato facendosi fotografare più volte con volto contrito e braccio teso. Saluto romano? No, «simbolo di uguaglianza» con i sostenitori, ha detto lo stesso leader, per chi è disposto a crederci. Mentre il motto del partito si discosta da quello di Salazar per l’aggiunta di una parola: «Dio, patria, famiglia e lavoro». Per ingraziarsi l’elettorato conservatore in un Paese con un solido ancoraggio cattolico, d’altra parte, Ventura ha sparato negli anni provocazioni pure più aggressive, come la “proposta” di asportare le ovaie alle donne che abortiscono o quella di abolire i fondi pubblici per la parità di genere.
It’s economy, stupid
Pallottole d’artiglieria politica buone per essere sparate (o fatte sparare dai suoi) in tempi non sospetti, per poi trovare modo di nascondere la mano, smentire o correggere appena la rotta quando risulta più conveniente. Così ha fatto Ventura nell’ultima campagna elettorale, e la scelta pare essere stata fortunata: messi di lato i temi più caratteristici da destra dura, l’ex commentatore sportivo ha puntato tutto sulla frustrazione di milioni di cittadini per gli stipendi e pensioni basse, erosi dall’inflazione, a fronte della corruzione che ha lambito a più riprese l’élite del Paese, ultima e più eclatante con lo scandalo che ha fatto cadere il governo di centrosinistra. «Lo vedete questo piatto vuoto? È quello attorno a cui s’incontrano ogni sera molte famiglie portoghesi, mentre le banche se la godono», racconta Chega in uno degli ultimi video della sua campagna elettorale. Linea demagogica molto “concreta” che in alcune zone del Paese, come nel distretto meridionale di Faro, è valsa ai duri di Chega anche oltre il 27% dei voti. E ciò nonostante (o forse proprio perché) per tutta la campagna elettorale non solo il centrosinistra ma anche il centrodestra avessero eretto il classico “cordone sanitario” attorno all’ultradestra, promettendo di non collaborarci mai e poi mai.
Montenegro manterrà la parola data? Di qui in poi si vedrà. Prendersi sotto braccio Ventura, numeri alla mano, sarebbe la via più facile per andare dritti al governo. Per non dire l’unica. A meno, ovviamente, di non voler rompere un altro storico tabù e trovare invece un’intesa con gli avversari socialisti. Nelle prime dichiarazioni da day after, oggi, il leader del centrodestra pare evocare una terza strada, quella di un possibile governo di minoranza. «Mi aspetto che il Ps e Chega non formino ora un’alleanza negativa per impedire (che nasca, ndr) il governo che i portoghesi chiedono», ha detto ai suoi sostenitori stamattina. Le trattative, di cui sarà “arbitro” il presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa (proveniente dallo stesso partito di Montenegro), potrebbero essere lunghe e complicate, e se non andranno a buon fine portare perfino al ritorno alle urne. Prospettiva che Chega, a ben vedere, già scorge tutt’altro che di cattivo occhio. «Tra sei mesi, un anno o due vinceremo le elezioni», ha scandito Ventura nella notte di fronte alla platea di militanti di Chega in visibilio. Il vento, per ora, è dalla sua parte. Come da quella, allargato lo sguardo, di suoi parenti stretti come Geert Wilders in Olanda (fermo al palo delle trattative dopo la vittoria a novembre in Olanda), Santiago Abascal in Spagna (rapidissimo a celebrare il successo del compagno iberico) o Jordan Bardella in Francia (il rampollo del partito di Marine Le Pen la cui cavalcata anti-Macron alle Europee pare inarrestabile).
Amici italiani
E in Italia? Con chi fraternizza il 41enne sovranista ora baciato dalla fortuna politica? Tra Meloni e Salvini, al momento, ha scelto quest’ultimo: Chega fa parte infatti della famiglia politica di Identità e democrazia, la stessa di cui è tra i pilastri la Lega. E così il leader del Carroccio stamattina non ha perso tempo per saltare sul carro dei vincitori: «Congratulazioni all’amico e alleato André Ventura per lo straordinario successo di Chega, soli contro tutti – ha postato su X Salvini -. Il vento del cambiamento soffia forte in tutta Europa, aspettando il 9 giugno». Che in Italia soffi tre o quattro volte tanto per i competitor interni di Fratelli d’Italia, è un altro discorso.