Le meraviglie di Pompei: scoperto un cantiere di duemila anni fa, con strumenti di lavoro, tegole e mattoni

I lavori edilizi dell’epoca. I conti degli architetti. E la pratica per “spegnere” la calce viva

Nel Parco Archeologico di Pompei emergono nuove informazioni sull’edilizia romana, grazie alle antiche domus che lo scavo archeologico sta portando alla luce nella Regio IX insula 10. Gli archeologi hanno ritrovato tracce di un cantiere in attività, tra strumenti di lavoro, tegole e mattoni di tufo. «Pompei è uno scrigno di tesori e non tutto si è svelato nella sua piena bellezza. Tanto materiale deve ancora poter emergere. Nell’ultima Legge di Bilancio abbiamo finanziato nuovi scavi in tutta l’Italia e una parte importante di questo stanziamento è destinata proprio a Pompei», dice il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.


I lavori edilizi

«Mi ha fatto molto piacere quando il direttore del Parco Archeologico, Gabriel Zuchtriegel, ha ricordato che, mai come in questo momento, sono attivi così tanti scavi nel sito: possiamo dire che è un record degli ultimi decenni. Allo stesso tempo stiamo lavorando anche su altri fronti. Nei mesi scorsi il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha ceduto al Ministero della Cultura lo Spolettificio di Torre Annunziata, dove nascerà un grande museo di raccogliere tutti questi reperti», ha aggiunto il responsabile della Cultura del governo Meloni. Il cantiere è stato attivo fino al giorno dell’eruzione del Vesuvio nel 79 D.C. Lo scavo attesta la presenza di un cantiere che interessava tutto l’isolato. In particolare nel panificio di Rustio Vero. Nell’atrio si trovano materiali per i lavori e un quadro mitologico che rappresenta Achille a Sciro.


I conteggi dei cantieri

E si possono leggere anche i conteggi dei cantieri: numeri romani scritti a carboncino, facilmente cancellabili a differenza dei graffiti incisi nell’intonaco. Altre tracce anche nell’ambiente che ospitava il lalario. Anfore per raffreddare la calce e strumenti di cantiere, dal peso di piombo per tirare su un muro perfettamente verticale (“a piombo”) alle zappe di ferro usate per la preparazione della malta e per la lavorazione della calce. La casa vicina, raggiungibile da una porta interna, e una dimora alle spalle delle abitazioni hanno mostrato altre tracce del cantiere, tra cui cumuli di pietre e anfore, ceramiche e tegole raccolte per essere trasformate in cocciopesto. Si tratta di un’«occasione straordinaria per sperimentare le potenzialità di una stretta collaborazione tra archeologi e scienziati dei materiali», scrivono gli autori di un articolo pubblicato sull’E-Journal degli Scavi di Pompei.

La calce viva

Il Parco ha lavorato in coordinamento con un gruppo di esperti del Massachusetts Institute of Technology, USA. «L’ipotesi portata avanti dal team è quella dello hot mixing, ovvero la miscelazione a temperature elevate, dove la calce viva (e non la calce spenta) è premiscelata con pozzolana a secco e successivamente idratata e applicata nella costruzione dell’opus caementicium», si legge nel testo. Nel caso del cantiere di Pompei risulta che la calce viva, ovvero non ancora portata a contatto con l’acqua, venisse in un primo momento mescolata solo con la sabbia pozzolanica. Mentre il contatto con l’acqua avveniva poco prima della posa in opera del muro. Ciò significa che, durante la costruzione della parete, la miscela di calce, sabbia pozzolanica e pietre era ancora calda per via della reazione termica in corso e di conseguenza si asciugava più rapidamente, abbreviando i tempi di realizzazione dell’intera costruzione.

Leggi anche: