Emanuele Marini parla 15 lingue e ne comprende 30: «Le studio ascoltando canzoni»

Lavora per l’azienda di famiglia e cura i rapporti commerciali con l’estero. Ma non le ha imparate a scuola

Emanuele Marini ha 50 anni, risiede a Cogliate ed è plurilaureato. Lavora per l’azienda di famiglia che realizza valvole pneumatiche. Occupandosi dei rapporti commerciali con l’estero. E questo perché conosce almeno una ventina di lingue e ne parla 15. Che però non ha studiato. Della sua dote parla oggi in un’intervista all’edizione milanese del Corriere della Sera: «Bisognerebbe prima capire cosa vuol dire conoscere una lingua: ne conosco bene una quindicina, ma riesco a comprenderne altrettante. Se dovessi parlare di un argomento tecnico in rumeno, la mia espressione non sarebbe fluida, ma lo capisco. Diverso è il serbo che conosco molto bene così come il russo, il polacco, il croato o lo sloveno».


L’inglese

Marini dice di non amare l’inglese: «Non devo andare per lavoro né in Inghilterra né negli Usa, quindi non sono tenuto a parlarlo. L’inglese l’ho studiato a scuola, come tutti. Ma credo che lo studio accademico non porti molti frutti». Lui impara le lingue partendo «dallo studio della grammatica, poi con i video. L’aspetto più importante è l’ascolto della pronuncia anche se quando arrivo nel paese mi accorgo che questa è differente e devo “metterla a punto”. Un grande aiuto arriva dall’ascolto delle canzoni». Il rischio di fare confusione c’è: «Le lingue si sovrappongono quando sono simili. Per esempio: spagnolo-portoghese, rumeno-albanese (per via della pronuncia che è molto simile), sloveno-croato, ceco-slovacco, bulgaro-macedone, armeno-albanese. È più facile studiare contemporaneamente due lingue totalmente diverse, piuttosto che due lingue simili. Come georgiano e sloveno piuttosto che slovacco e croato. Strafalcioni ci sono sempre, non ci faccio nemmeno caso. Quando vedo qualche espressione strana nel mio interlocutore, chiedo scusa e ripeto».


I problemi

A causa della sua dote ha avuto anche qualche problema: Al confine tra Romania e Ungheria i poliziotti di frontiera non sapevano che cosa pensare: avevo presentato la carta di identità italiana ma parlavo in rumeno con il poliziotto rumeno e in ungherese con il poliziotto ungherese. Alla fine si sono messi tutti a ridere quando ho fatto vedere il video che mi avevano registrato alla conferenza poliglotti del 2013. Un‘altra volta volevano che cantassi…». È accaduto «al confine tra Serbia e Ungheria la poliziotta ungherese non credeva alla mia cittadinanza e voleva che io cantassi qualche cosa in italiano: ma non so cantare bene e conosco ben poche canzoni italiane, dato che ascolto soprattutto musica serba, balcanica, turca e russa. Alla fine un mio amico che viaggiava con me è riuscito a convincerla che “il treno sarebbe esploso” per effetto della mia voce eccelsa».

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