Claudio Foti e il trauma collettivo di Bibbiano: «Io come Enzo Tortora»

Lo psicoterapeuta, le accuse infondate e la distruzione dell’immagine professionale

Claudio Foti è lo psicoterapeuta al centro del caso Bibbiano. La scorsa settimana è stato assolto anche in Cassazione dal reato di abuso d’ufficio e lesioni gravi. Perché «il fatto non sussiste». Diciassette persone sono tuttora a processo in primo grado sul caso dei falsi affidi ai comuni della Val d’Enza. L’accusa è di aver falsificato rapporti e relazioni per togliere i bambini alle famiglie naturali. Foti dice oggi al Corriere della Sera che quando lo hanno arrestato «la prima persona a cui ho pensato è stato Enzo Tortora. Fin da subito ho preso precauzioni, soprattutto di tipo psicologico, perché ho sempre avuto la preoccupazione di ammalarmi: conosco e l’ho studiato lo stress da ingiustizia giudiziaria. È una delle forme più logoranti». Spiega che razionalmente non ha avuto paura delle condanne.


Accuse infondate

«Perché le accuse erano totalmente infondate e deformanti rispetto a quello che è stato il mio lavoro di 40 anni», sostiene. «Tuttavia, quando c’è una persecuzione mediatica e politica di questo tipo, non si può che essere preoccupati. L’assoluzione è stato un momento di sollievo e di felicità», aggiunge. Foti sostiene di non voler entrare nel merito del processo ancora in corso: «Una cosa però la so: sono state coinvolte persone che hanno dato tutto per il lavoro di prevenzione e contrasto della violenza sui minori. Sono persone sincere, attaccate al loro lavoro, efficienti, sensibili e che godevano della fiducia anche del tribunale per i minori». Secondo lui si tratta di un errore: «Sono convinto che verrà fuori quanto queste persone abbiano sempre lavorato in buona fede e mi auguro che emerga la qualità personale e professionale di tutte loro».


La distruzione dell’immagine professionale

Foti lamenta «la distruzione della mia immagine professionale, il 95% del mio lavoro è venuto meno, a partire dall’attività di formazione che ho sempre svolto in giro per l’Italia. Il centro studi Hänsel e Gretel è rimasto senza richieste e, dunque, si è sciolto, ma è stata dura anche sul piano personale perché, mio malgrado, sono diventato una delle persone più infangate e deturpate sul piano mediatico degli ultimi anni. Su di me è stato detto di tutto: che inseguivo i bambini per spaventarli, che facevo l’elettroshock». E dice di essersi protetto «per esempio non leggendo più i giornali per certi periodi. Tuttavia ho sofferto, ho pianto tanto, ma sono sopravvissuto imparando dalla sofferenza». E aggiunge che l’inchiesta ha fatto anche altri danni.

Il trauma collettivo di Bibbiano

Secondo lui «si può parlare di “trauma collettivo di Bibbiano”: gli operatori della tutela vengono guardati da una parte dell’opinione pubblica con diffidenza, come fossero potenziali demoni, ma anche le famiglie affidatarie vengono guardate con sospetto; e la disponibilità a diventarlo è diminuita moltissimo, almeno a Reggio Emilia. Ciò significa minor disponibilità a prendersi in carico altri bambini e ad aiutare altre famiglie». Adesso dice che vuole voltare pagina: «Ci tengo al risarcimento culturale e ripartirò con la capacità di tenere a bada la rabbia. Spero possano contare in questo senso anche i tre libri che ho scritto in questi cinque anni: il primo uscirà a maggio e il suo titolo è Lettere dal trauma. Dal dolore alla speranza».

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