Caso Bibbiano, perché Claudio Foti è stato assolto: le motivazioni della sentenza

Per i giudici della Corte d’Appello di Bologna, lo psicoterapeuta non aveva partecipato alle procedure per gli affidi ritenute illegittime. E non ci sarebbero elementi neanche per affermare che avesse fatto pressioni

C’è stato sicuramente un abuso di ufficio nell’affidare gli incarichi alla onlus “Hansel & Gretel”, ma sullo psicoterapeuta Claudio Foti che l’ha fondata non ci sono elementi per poter dire che abbia partecipato a quelle procedure amministrative. Così scrivono i giudici della Corte d’Appello di Bologna nelle motivazioni della sentenza che hanno assolto Foti lo scorso 6 giugno, dopo essere stato coinvolto nell’inchiesta “Angeli e Demoni” che indagava sui presunti affidi illeciti nella Val d’Enza Reggiana. Vicenda diventa poi noto come “caso Bibbiano“. Foti era stato assolto da tutte le accuse, dall’abuso di ufficio, alle lesioni dolose gravi, fino alla frode processuale. Nelle motivazioni, i giudici continuano che non si ravvisano neppure «sufficienti elementi che consentano di attribuirvi intese, pressioni o sollecitazioni». L’assoluzione di Foti è arrivata dopo la condanna in primo grado a quattro anni con rito abbreviato sul presunto sistema di affidi illeciti.


I giudici spiegano poi che la procedura seguita seguita, che coinvolge anche altri imputati attualmente a processo in rito ordinario a Reggio Emilia, fu dunque illegittima. E risulta anche ottenuto «l’ingiusto vantaggio» legato «all’utilizzo “sine titulo” dei locali de “La cura”» di Bibbiano. Da quanto era emerso dalle indagini, «gli psicoterapeuti avevano infatti libero e incondizionato accesso a tale struttura pubblica, in cui venivano tenute sedute terapeutiche anche nei confronti di pazienti privati». Ma «tutti gli elementi indicati al fine di ritenere provato un attivo coinvolgimento di Foti – proseguono i giudici – si limitano a evidenziarne un coinvolgimento in qualità di mero beneficiario, ma non anche intese, pressioni o sollecitazioni dirette ad influenzare l’azione amministrativa».


Inoltre non ci sono elementi che permettono di dire che, oltre a beneficiare della prassi illegittima usata dall’amministrazione comunale sul pagamento, questa «abbia anche fornito un contributo causale nell’indurre gli intranei all’attuazione degli illeciti affidamenti al servizio di psicoterapia». Quelli di Foti con gli altri restano quindi «esclusivamente rapporti amicali e di frequentazione», che «assumono valenza di meri elementi indiziari equivoci non univoci e per ciò del tutto inidonei a sorreggere un’affermazione di responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio».

A proposito dell’assoluzione di Foti sulle presunte lesioni a una minorenne, i giudici hanno anche escluso un nesso causale tra la condotta terapeutica di Foti e la patologia di cui avrebbe sofferto la paziente. La ragazza aveva già prima della terapia iniziata con Foti una «condizione estremamente critica», e manifestava sofferenza e difficoltà a organizzare il proprio futuro, oltre che consumatrice abituale di stupefacenti. La Corte spiega che va considerata anche la sussistenza di elementi verificatisi prima della psicoterapia. Non solo l’uso della droga, ma anche gli abusi sessuali riferiti da parte di un ex fidanzato e le criticità nel rapporto con il padre. Tutti elementi che non hanno permesso a Foti di attribuire «l’insorgenza della patologia» nella ragazza. Dunque «non risulta possibile attribuire all’attività terapeutica la valenza di fattore causale o concausale rispetto a una patologia che individua in altri fattori la propria eziopatogenesi».

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