Un algoritmo per lavorare meglio, l’ideatore Bemporad (Imt): «Definire l’AI pericolosa frena la ricerca» – L’intervista

Parla il docente di Automatica alla Scuola IMT di Lucca che si è aggiudicato un finanziamento di 2,5 milioni di euro con il progetto Compact

Si chiama «Compact» il progetto di Alberto Bemporad, professore di Automatica alla Scuola IMT di Lucca, che si è aggiudicato un finanziamento di due milioni e mezzo di euro. Una ricerca che si colloca a metà tra la matematica applicata e l’intelligenza artificiale, con l’obiettivo di sviluppare nuove tecniche per il controllo predittivo. Il finanziamento ottenuto dall’ateneo toscano è il prestigioso ERC Advanced Grant bandito dal Consiglio europeo della ricerca, una struttura pubblica istituita dalla Commissione Ue nel 2007 per finanziare la ricerca scientifica e tecnologica. Su 787 proposte presentate, 107 sono riuscite a ottenere un finanziamento. Tra queste c’è anche il progetto dell’IMT di Lucca, che punta a ridurre tempi e costi di sviluppo dei sistemi di automazione, che – spiega il professor Alberto Bemporad in quest’intervista a Open – «trovano importanti applicazioni nella robotica, nel settore automotive, navale, aeronautico e anche energetico».


In cosa consiste di preciso “Compact”?


«È un progetto di ricerca per sviluppare tecniche computazionali per il controllo predittivo. Per dirla in altre parole, si tratta di algoritmi pensati per i sistemi di automazione, che hanno importanti applicazioni in diversi ambiti dell’ingegneria industriale. È un progetto che si colloca un po’ a metà tra la matematica applicata e l’intelligenza artificiale».

Nel concreto, quali saranno le applicazioni?

«Prendiamo l’esempio dei veicoli a guida autonoma. Per pianificare quando accelerare e quando frenare, ho bisogno di un modello che mi dica come si muove il veicolo e come si muovono gli ostacoli intorno. I modelli predittivi servono proprio a implementare queste tecniche di controllo. Accanto a tutto questo, c’è poi la questione relativa alle calibrazioni. Nelle aziende che usano algoritmi di questo genere ci sono persone addette a questo compito. Con questo progetto, vogliamo sviluppare sistemi in grado di capire cosa ha in mente l’operatore umano e suggerire possibili calibrazioni».

Dove vengono impiegati questi sistemi?

«In molti settori industriali, a partire dagli impianti chimici o dalle raffinerie, ma anche nei velivoli. Un altro ambito di applicazione riguarda le smart grids, le reti intelligenti, che attraverso questi modelli permettono di pianificare in tempo reale l’energia da acquistare per soddisfare la domanda dei consumatori».

Quanto durerà il progetto e quanti ricercatori impiegherà?

«Il progetto, per cui abbiamo ottenuto un finanziamento di 2 milioni e mezzo di euro, avrà una durata di cinque anni. Ci aspettiamo di reclutare una decina di giovani ricercatori e dottorandi. A questo si aggiungerà poi l’acquisto di due bracci meccanici, gli stessi usati dalle aziende sulle catene di montaggio, su cui potremo fare esperimenti».

Il vostro progetto si occupa anche di automazione, una delle conseguenze più temute dell’intelligenza artificiale. Ci sono mansioni in cui si arriverà a una sostituzione dei lavoratori umani?

«Il rischio e il vantaggio dell’automazione è sempre quello: rimpiazzare con procedure automatizzate quei lavori noiosi, ripetitivi e spesso anche pericolosi. Detto questo, non mi aspetto con l’intelligenza artificiale arriverà a rimpiazzare del tutto l’uomo, perché dipende necessariamente dagli input dell’operatore umano. Nel nostro progetto, per esempio, l’algoritmo servirà semplicemente a suggerire a un lavoratore cosa fare. Io lo vedo più che altro come un modo per migliorare le condizioni di lavoro e ottimizzare».

Che impatto può avere l’intelligenza artificiale nei settori dell’ingegneria industriale?

«Ultimamente c’è molto rumore sull’AI. È vero: molti software, soprattutto quelli di scrittura, stanno diventando sofisticati, ma non li vedo come rimpiazzi veri e propri. Un algoritmo di automazione fa quello per cui è stato programmato, non inventa niente di sua spontanea volontà. Come suggeriscono molti esperti, ci vorranno decenni prima che avremo un’intelligenza artificiale in grado di fare ciò che fa un essere umano. Nel frattempo, dobbiamo solo stare attenti agli usi che ne facciamo. L’AI, al pari di ogni altra tecnologia, porta con sé vantaggi e rischi».

Di recente, l’Unione europea è diventata la prima grande potenza a legiferare sull’intelligenza artificiale. Da esperto del settore, come valuta l’AI Act?

«Ho un po’ di timore, perché c’è il rischio di creare confusione e bollare come “pericoloso” qualcosa che in realtà non lo è. Un eccesso di legiferazione può farci rimanere indietro rispetto ad altri Paesi. Cina e Stati Uniti, giusto per fare due esempi, si fanno molti meno problemi».

Oltre a fissare le regole, c’è da investire nella ricerca. Come è messa l’Unione europea rispetto a Stati Uniti e Cina?

«Dipende dai settori. I player più grossi nell’intelligenza artificiale non sono le università, ma le grandi aziende tecnologiche: Google, Facebook, Apple e via dicendo. Hanno risorse di calcolo e risorse economiche che gli atenei non sono in grado di avere. I fondi non mancano e credo che questa situazione possa favorire l’incontro tra università e aziende. Credo che sarebbe sbagliato non utilizzare l’intelligenza artificiale, così come 40 anni fa sarebbe stato un errore rifiutarsi di usare i calcolatori».

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