Perché Beniamino Zuncheddu, assolto dopo 33 anni di carcere, potrebbe non ricevere un maxi-risarcimento dallo Stato

Le motivazioni della sentenza sul processo di revisione rischiano di negare all’ex pastore sardo il giusto risarcimento. Il legale: «Conclusioni non condivisibili, sono la parte più deludente»

Beniamo Zuncheddu, assolto e detenuto ingiustamente per lunghissimi 33 anni, potrebbe non ricevere alcun indennizzo dallo Stato. Questo perché, riporta oggi Il Messaggero, non c’è certezza della sua colpevolezza ma con l’insufficienza di prove, spiegata anche nelle motivazioni della sentenza, anche della sua innocenza. Ha letto con amarezza le motivazioni della sentenza con cui la quarta sezione della Corte d’appello di Roma ha deciso, nel processo di revisione, che forse non è stato lui a «mettere in atto la strage di Sinnai», nel gennaio del 1981. Ed è proprio questa ultima sentenza a farsi beffa dell’ex ergastolano. Lo Stato potrebbe approfittare per non pagare a Zuncheddu un risarcimento pesante per tutti gli anni passati in carcere.


La sfida del risarcimento

Fra meno di due mesi, a giugno, l’avvocato difensore Mario Trogu presenterà la richiesta di risarcimento e dovrà anche spiegare perché quel verdetto di fatto sembra essere una seconda ingiustizia ai danni dell’ex servo pastore, che da quando è in semilibertà fa il cameriere in un bar di Burcei. Da Marsala, dove con Zuncheddu ha partecipato al convegno «I grandi errori giudiziari da Tortora a Zuncheddu», organizzato dalla Camera penale, ha già commentato. «Le nostri tesi sull’innocenza di Beniamino sono state tutte accolte nella motivazione. Ma poi il tutto sfocia in quelle conclusioni non condivisibili e che sono infatti la parte più deludente della sentenza. Nonostante il castello di accuse contro Beniamino sia crollato dall’inizio alla fine, i giudici scrivono che l’assoluzione non è piena perché l’imputato non ha dimostrato la sua totale estraneità ai fatti. È un ragionamento, quello finale dei magistrati, che contrasta con la Costituzione, la nostra legge processuale e anche con quanto sempre sostenuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: la presunzione di innocenza. Perché fino a quando la responsabilità non è provata, l’imputato va considerato comunque innocente. In ogni caso dev’essere sempre l’accusa a dover provare la colpevolezza, non certo l’imputato a doverla provare».


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