Francia, record di sfiducia nella Ue: oggi il discorso di Macron per arginare la svolta a destra. Lazar: «Rigetto viscerale»

Oggi il presidente terrà un’orazione sull’Europa alla Sorbona per rispondere ai segnali di sfiducia dei cittadini

C’è una ragione di fondo se a ogni elezione europea si teme il forfait dei protagonisti principali – gli elettori – e ogni volta che qualcuno osa evocare l’urgenza di riformare i Trattati Ue a Bruxelles sudano freddo: 19 anni fa il «grande salto» che l’Ue doveva fare fu stroncato da due voti popolari. Era il 29 maggio del 2005, e un inequivocabile 54,67% dei francesi bocciò il progetto di Costituzione europea. Tre giorni dopo arrivò dal’Olanda la seconda stangata: un «no» ancora più fragoroso infilato nelle urne da oltre il 61% dei cittadini. La Costituzione europea preparata con cura per anni dai dirigenti europei morì di schianto nel giro di tre giorni. Si aprì così la lunga crisi del progetto europeo mai guarita. E la cosa più dolorosa fu per tutti che il colpo di grazia venne proprio dalla Francia, Paese fondatore e teoricamente con tutte le carte in regola per guidarlo, quel processo. Due decenni dopo, molti segnali lasciano pensare che la Francia – patria di buona parte dei valori su cui l’Ue si fonda – si sia di nuovo ammalata di uno subdolo «mal d’Europa». Che rischia di disidratare dalle radici la pianta europea. I dati li ha messi in fila l’Eurobarometro pubblicato pochi giorni fa – l’ultimo sondaggio continentale prima delle Europee di giugno. 1) I francesi vedono più grigio di tutti. Quello guidato da Emmanuel Macron è l’unico Paese in cui i pessimisti sul futuro dell’Ue sono di più degli ottimisti (52 contro 42%). 2) I francesi hanno una pessima idea del Parlamento europeo: appena il 27% ne ha un’immagine positiva, contro il 41% in media dei loro concittadini Ue. Rilievo ancor più surreale considerato che l’Eurocamera ha sede proprio Oltralpe, a Strasburgo. 3) In maniera del tutto coerente, la maggioranza dei francesi (53%) si dice disinteressata alle Europee di giugno, e il 30% ammette candidamente di non avere neppure idea di quando si svolgeranno – dati anche questi decisamente più negativi che nel resto dell’Ue.


Svolta a destra

ll sentiment dell’opinione pubblica francese sull’Ue s’incrocia d’altronde con le intenzioni di voto monitorate quasi quotidianamente dagli istituti demoscopici nazionali. E il trend politico ne emerge chiarissimo: la maggioranza dei francesi si appresta a dare nelle urne una sonora lezione a Emmanuel Macron. Il vento in poppa ce l’ha ormai da mesi il Rassemblement National, il fu Front National che sotto la guida di Marine Le Pen, dopo le continue sconfitte alle presidenziali, ha cambiato nome, identità politica (in parte) e ora perfino volto. Perché a guidare le liste in vista del voto di giugno non è la storica leader e figlia del fondatore del partito, ma il rampante Jordan Bardella, classe 1995. Secondo l’ultima rilevazione Ipsos l’RN potrebbe raccogliere a giugno quasi un terzo dei voti, un esorbitante 32%. Il blocco elettorale guidato da Renaissance, il partito di Macron, verrebbe letteralmente doppiato, fermandosi al 16%. Con il serio rischio, per il partito cardine del governo, di scivolare addirittura in terza posizione, se proseguirà il trend di ripresa del centrosinistra: la lista formata da Partito Socialista e Place Publique, sotto la guida del filosofo fattosi politico Raphaël Glucksmann, è data ora al 13%. Seguono attorno al 7% la lista dei Verdi e altre due proposte politiche che picchiano durissimo su Macron: la France Insoumise da sinistra (7%) e la Reconquête di Eric Zemmour da destra (6,5%).


La scommessa dell’Eliseo

Ce n’è abbastanza per far suonare l’allarme rosso all’Eliseo. Macron, che consapevole del clima iper-ostico nel Paese aveva già tentato lo scossone a inizio anno sostituendo alla guida del governo la consumata Elizabeth Borne con la stella ascendente Gabriel Attal, si appresta a rispondere con la sua arma preferita: un grande discorso alla nazione. Meglio, all’Europa intera. Giovedì 25 aprile il presidente francese terrà un’orazione sull’Europa alla Sorbona che s’annuncia come il tentativo di rispondere colpo su colpo ai segnali di sfiducia e pessimismo dei suoi connazionali. Il sequel, da un certo punto di vista, del discorso programmatico sul futuro dell’Ue che tenne in quello stesso anfiteatro universitario nel settembre 2017. Allora Macron era fresco di elezione alla guida della Francia, e non nascondeva il sogno di mettersi di fatto da Parigi al volante dell’Europa intera. Oggi torna alla Sorbona da un presidente al secondo e ultimo mandato, sulla difensiva all’interno, anche se tuttora molto considerato all’estero. La scommessa è che il discorso faccia presa sull’elettorato sfiduciato, per lo meno per evitare che il suo partito finisca terzo.

Mal d’Europa o mal di Macron?

Proprio alla luce di queste dinamiche però non tutti sono convinti che quello segnalato dai francesi sia davvero un «mal d’Europa». «Sì e no», riflette a Open Marc Lazar, docente a Sciences Po e grande esperto di politica francese (oltre che italiana). «È vero che i francesi sono critici e sfiduciati verso l’Ue, ma restano al contempo legati all’Ue, e ancor più all’euro. E vogliono la difesa europea». Non è una contraddizione, spiega il politologo, perché l’Ue «resta l’orizzonte accettato, tanto che nessuno parla più di Frexit, mentre l’insoddisfazione riguarda temi concreti come sanità, potere d’acquisto, transizione ecologia». E poi c’è l’altro grande elefante nella stanza: il capo dell’Eliseo appunto. «Macron è il presidente più odiato della storia della Quinta Repubblica. De Gaulle, Mitterrand, Hollande, tanti hanno avuto forti opposizioni, ma quella contro di lui è proprio una questione personale, focalizzata sul personaggio: giovane, brillante, considerato arrogante e distaccato dalla vita quotidiana». Secondo Lazar è soprattutto nel mondo rurale e nelle piccole città che costituiscono un pezzo rilevante della Francia che va cercata quella «repulsione quasi fisica per questo grande borghese»: un rigetto viscerale di Macron che ha fatto da benzina negli scorsi anni alle proteste dei gilets jaunes prima, contro la riforma delle pensioni poi. Ciò senza nulla togliere, ricorda comunque Lazar, all’indubitabile capacità attrattiva del giovane Bardella, che dopo le Europee aprirà con ogni probabilità una vera questione nell’RN: se davvero avrà raccolto oltre il 30% dei voti quali saranno i rapporti tra lui e Marine Le Pen? Mentre in chiave europea la questione post-elettorale tutta da monitorare sarà un’altra, anche questa tutta interna alla destra: come s’innesteranno i rapporti tra le due grandi donne di riferimento di questa galassia, Le Pen appunto e Giorgia Meloni?

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