Conti al Festival imboccherà il pubblico come Amadeus? Probabile. E la musica, come al solito, non c’entra niente

La funzione di Sanremo non è regalare contenuti musicali alle radio, Sanremo non è una fabbrica di hit, Sanremo non dovrebbe accettare di stare sotto scacco da parte del pubblico. Anzi, non dovrebbe nemmeno esistere un televoto, un fattore che mortifica qualsiasi valenza di un premio

Carlo Conti sarà il conduttore e direttore artistico dei prossimi due Festival della Canzone Italiana di Sanremo. Intanto partiamo da questo dato: due, abbastanza scontato, traghettatore si, ma spudorato traghettatore no. E ci sta, considerata la professionalità di una delle colonne portanti della RAI degli ultimi quarant’anni. Una professionalità che con una proposta annuale non sarebbe stata rispettata fino in fondo, insomma Carlo Conti è giusto che non accetti di essere quello che assaggia la zuppa per vedere se è troppo calda ed è giusto che il contratto abbia un respiro più ampio. Ci riferiamo naturalmente al confronto con i dati record di Amadeus, cosa che avrebbe scoraggiato chiunque e che solo un usato sicuro poteva affrontare di petto. Gira parecchio malcontento in rete riguardo la scelta di Carlo Conti ma non si tiene conto di due fattori fondamentali. Il primo: non è che ci fosse questa grande scelta di nomi. Ad un conduttore meno esperto non si può affidare il Festival di Sanremo, un conduttore in hype non accetta di fare da scendi letto ad Amadeus (vedi alla voce Cattelan), affidarsi ad un esterno sarebbe stato un rischio troppo grosso, nonché l’implicita ammissione che nella tv di Stato, specie la nuova, manca il talento. Se si tira una linea dunque alla fine resta giusto Carlo Conti, un ex, la scelta nettamente più corretta, forse l’unica davvero percorribile. Il secondo: perché stupirsi del fatto che la RAI abbia affidato uno show televisivo a Carlo Conti, che di mestiere fa il conduttore televisivo? Perché questo è il Festival di Sanremo, come tale è pensato, organizzato e prodotto, e come tale dovrebbe essere accolto dal pubblico a casa. Se si scambia per una gara di canto allora i conti non quadrano più.


La musica al centro, ma che musica?

Ogni singolo conduttore che si è avventurato dalle parti dell’Ariston ha sempre giurato di mettere «al centro la musica», nessuna eccezione, questo perché tutti sanno benissimo che mettere al centro la musica al Festival di Sanremo sarebbe di fatto una novità. Mettiamo da parte il consenso ottenuto dalle canzoni scelte da Amadeus, perché chiedere ad artisti in cima alle classifiche di replicare hit già uscite, solo nell’ultima edizione vedi Annalisa o The Kolors (ma la lista è ben più lunga), non è frutto di alcuna intuizione geniale né musicale, ma solo televisiva. Va quello? Gli diamo quello. Anzi, il ragionamento è piuttosto elementare. Di fatto infatti i cast artistici degli ultimi cinque festival altro non erano che un soffritto di nomi buoni per accontentare più persone possibili. E se per piazzare gente davanti alla tv serviva qualche nome in più, si arrivava serenamente alla follia di trenta artisti in gara, una scelta disumana, pura bulimia televisiva. Quello che ci aspettiamo è che Carlo Conti, nemmeno lui l’ultimo arrivato, percepisca le scelte musicali del suo predecessore e le faccia proprie. Fare un lavoro migliore rispetto ai suoi tre festival insomma, che musicalmente furono totalmente distaccati dalla realtà discografica che accerchiava l’evento. Infatti in quegli anni (2015, 2016 e 2017) mentre a Sanremo imperversavano i soliti nomi di un pop televisivo, plastificato e ammuffito, fuori si manifestava una delle più importanti rivoluzioni musicali della storia del nostro paese. Il circuito indipendente partoriva volti che oggi riempiono gli stadi, una nuova generazione di artisti che ai tempi rappresentavano linfa vitale per le nuove piattaforme, quelle piattaforme che presto avrebbero deformato a propria immagine e somiglianza l’intera discografia. Parallelamente il rap si preparava a divorarsi l’intero mercato lasciando agli altri solo le briciole. Nel frattempo in tv i Sanremo di Carlo Conti proponevano nomi (che per delicatezza non faremo) che oggi, a distanza di meno di una decina d’anni, salvo qualche rarissima eccezione, risultano quasi tutti discograficamente morti. «La musica come sempre sarà protagonista, sarà al centro, la musica attuale che piace» dice oggi Conti commentando la notizia del suo rientro all’Ariston e a quel «Musica attuale che piace» tremano un po’ le gambe, perché Amadeus il temibile record lo ha portato a casa trasformando Sanremo in un Festivalbar 2.0, una carrellata di nomi extrapop e di tormentoni estivi preventivi, lorrenda sintesi di ciò che effettivamente è oggi la musica attuale. Se è quella la musica che Conti vuole mettere al centro per emulare i numeri di Amadeus, speriamo che desista, che non si incentivi questa bramosia di superficialità che, notiamo ultimamente, sta affossando qualsiasi barlume di intellettualismo musicale in questo paese.


Il pubblico di Sanremo non fa bene a Sanremo

Sanremo dovrebbe fare l’esatto opposto di quanto fatto (bene) da Amadeus nel suo quinquennio, non dovrebbe mai essere ammiccante, la linea artistica non dovrebbe minimamente badare alla declinazione radiofonica in termini di dati, di numeri, di consenso. La funzione di Sanremo non è regalare contenuti musicali alle radio, Sanremo non è una fabbrica di hit, Sanremo non dovrebbe accettare di stare sotto scacco da parte del pubblico. Anzi, non dovrebbe nemmeno esistere un televoto, un fattore che mortifica qualsiasi scelta in ambito artistico. Infatti nel mondo non esiste un solo premio in ambito culturale assegnato tramite il televoto. Oscar, Grammy, Premio Strega, David di Donatello, Premio Tenco, tutti i premi più credibili sono ragionevolmente assegnati da giurie di esperti e si tratta di un meccanismo che nessuno si sognerebbe mai di contestare e che non ha alcun impatto sul mercato post rassegna, considerato che infatti la canzone vincitrice di Sanremo quasi mai corrisponde a quella più ascoltata dal pubblico una volta finito il Festival. Perchè il Festival non lo vince chi vince il Festival, questa ormai è una regola. Al netto dunque dei dati, dei quali capiamo chiaramente l’importanza in termini di dinamiche aziendali, non si dovrebbe inseguire con tale affanno fino all’ultimo italiano per scongiurarlo di stare ore davanti alla tv quella settimana e men che meno, per convincerlo, si dovrebbe essere disposti a dargli tutto ciò che desidera. Con Amadeus in questo senso si sono toccati preoccupanti picchi di piaggeria; mascherandole da operazioni vintage, armati di lustrini e nuove squadre di lavoro più giovani e cool, abbiamo riesumato perfino Rita Pavone, Orietta Berti, i Cugini di Campagna e i Ricchi e Poveri, tutta gente che con la discografia vera non c’entra più niente da decenni, che campa serenamente di ospitate nei salotti pomeridiani più kitsch e della SIAE dei loro sacrosantissimi classici. Artisti che di uno spazio nella vetrina di Sanremo non se ne fanno alcunché, se non diluire a suon di hit francamente ridicole una carriera già fisiologicamente andata. Mentre lì fuori ci sono giovani cantautori eccezionali costretti alla depressione, reale, autentica, clinica, stremati da questa rincorsa ad una possibilità che gli viene negata da questa giungla di mercato. Ci dovremo aspettare ancora scelte di questo tipo da Carlo Conti? Probabile, perché Carlo Conti, come Amadeus (e su questo ha straordinariamente ragione Morgan) non è un uomo di musica e per questi suoi nuovi due Festival di Sanremo non si è affidato per la direzione artistica ad un uomo di musica. Uno come Massimo Bonelli per esempio, che si era pure pubblicamente reso disponibile, colui che da direttore artistico ha salvato dagli abissi di un triste oblio il Concertone del Primo Maggio di Roma, con scelte ugualmente pop ma ragionate e squisitamente musicali, dimostrando che qualità e dati positivi possono serenamente coesistere.

Il solito Sanremo e la musica non c’entra niente

I Festival di Carlo Conti si discosteranno poco da quelli di Amadeus, soprattutto perché non è che Sanremo, come show televisivo, lasci questi giganteschi spazi di manovra: avremo una scenografia ricca e massiccia, avremo delle scale, avremo cantanti (speriamo non più di una ventina) che vengono annunciati, entrano, cantano ed escono, avremo le orrende e anacronistiche gag degli autori RAI, notoriamente privi anche del più tenue barlume di senso dell’umorismo e di idee illuminanti, avremo una serie di ospiti legati alla programmazione RAI che passano dall’Ariston per fare promozione come un qualsiasi altro varietà del sabato sera, avremo qualche discorsone carico di retorica nazional-popolare e una qualche polemichetta che accentrerà l’attenzione di un paese intero per circa un quarto d’ora. Sanremo sarà seguito, anche solo per essere criticato, da tutti, come sempre, magari anche di più, specie se l’intento di Carlo Conti sarà di accontentare il pubblico in tutto e per tutto, a qualsiasi costo. E la musica? Solo la lingua utilizzata per mettere in scena questa drammaturgia, il codice comunicativo, l’amo al quale abboccare dal divano di casa. D’altra parte: è il Festival di Sanremo, ma cosa volete che c’entri la musica?

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