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Elezioni europee, Cecilia Strada: «È il momento di procedere con il disarmo in Ue». Ucraina? «Meglio Crosetto di Stoltenberg» – L’intervista

06 Giugno 2024 - 17:18 Felice Florio
La capolista del Nord-Ovest, a Open, parla di un pericolo per la democrazia italiana e dice: «La comunità lgbtqia+ è minacciata dal governo Meloni»

È la prima campagna elettorale di Cecilia Strada che, per tutta la sua vita, ha fatto politica nelle vesti di attivista e operatrice umanitaria. A un certo punto, «mentre ragionavo sul mio impatto sul mondo, Elly Schlein mi ha chiesto di fare un pezzo di rotta insieme». Una coincidenza di valori con la segretaria del Nazareno, unita a una congiuntura «pericolosa» per l’Europa, ha spinto Strada a candidarsi da indipendente nella lista del Partito democratico. L’ex presidente di Emergency correrà nella circoscrizione Nord-Ovest e, intervistata da Open, indica tra le sue priorità per Strasburgo «il disarmo» e «un nuovo sistema di welfare europeo con tre gambe: l’infanzia, il lavoro e i giovani».

Cecilia Strada, candidata indipendente nella lista del Pd alle prossime europee. Perché ha scelto di correre con i Dem e non con altre liste altrettanto vicine al suo schema valoriale, penso ad esempio ad Alleanza verdi sinistra?

«Io sono molto vicina allo schema valoriale della segretaria Schlein. Poi, penso che in questa fase del mondo abbiamo davanti, nei prossimi anni, le sfide più grandi della nostra vita: c’è bisogno di avere un impatto su ciò che ci circonda. Io stavo ragionando sul mio impatto da operatrice umanitaria e attivista quando Schlein mi ha chiesto di fare un pezzo di rotta insieme. Per cui, credo che il Pd sia il posto giusto dove andare a fare massa. C’è tantissimo lavoro da fare e dal 10 giugno in poi, comunque vadano le elezioni, abbiamo da ricostruire i diritti in Italia e in Europa».

Dopo queste elezioni, ha intenzione di prendere la tessera del Pd o resterà indipendente?

«Ne parliamo dopo le elezioni. Sicuramente ciò che intendo fare, a prescindere dal risultato elettorale, è restare a lavorare qui, insieme a Schlein. Qui nel senso da questa parte del mare, piuttosto che andare dall’altra parte del mare, come ho fatto tutto il resto della mia vita. Perché c’è veramente molto da fare qui, in Italia e in Europa: le disuguaglianze sono cresciute in un modo mai visto prima. E a dirlo non sono Strada e Schlein, ma la Banca d’Italia. La prossima crisi ci spazzerà via, perché questo fanno le crisi quando arrivano in una società di disuguali».

Cosa pensa dello scontro tra Giorgia Meloni e Vincenzo De Luca ed esprime solidarietà al presidente Pd della Campania? Glielo chiedo anche in ragione di quella nuova interpretazione che si dà ai ruoli istituzionali.

«Non mi sono fatta un’idea a riguardo. Sono immersa, in queste settimane, nelle cose delle persone. In Italia non c’è più il diritto alla salute, in Italia non c’è più il diritto al lavoro, in Italia non c’è più il diritto alla casa. Ancora, c’è un’enorme paura della guerra. Il rispetto dovuto alle istituzioni è senz’altro una richiesta che arriva dalla gente. La Liguria – il riferimento è all’inchiesta Toti – è parte del mio collegio. Quindi sì, le persone hanno bisogno di credere nelle istituzioni e chi fa politica deve riempire di senso le istituzioni. Cosa vuol dire? Vuol dire riempirle dei bisogni delle persone. Quello che ho sentito nelle centinaia di incontri che ho fatto in queste cinque settimane di campagna è che c’è bisogno di sicurezza, ad esempio. Non di sicurezza nell’accezione della destra, ma di sicurezza dei diritti, di cui l’ordine pubblico è solo una parte. Le parole chiave sono salute, salute, salute, lavoro, salute e tutela dei diritti».

In questo scenario di degradamento dei diritti che descrive, vede che si sta innestando un tema di pericolo democratico in Italia?

«C’è sempre un pericolo democratico quando diminuisce la partecipazione democratica. E in questo momento la partecipazione diminuisce non solo perché una certa politica deve prendersi la responsabilità di ammettere che ha fatto schifo e ha allontanato i cittadini. Ma c’è un problema di accesso alla partecipazione, anche perché in Italia ci sono 4 milioni di persone che non si possono curare, ci sono 3 milioni e mezzo di schiavi, non lavoratori, perché guadagnano molto meno di 9 euro l’ora. Sì, mi preoccupa la tenuta della democrazia, mi preoccupa molto un governo che vuole fare delle riforme costituzionali a colpi di maggioranza e o la va o la spacca, perché non è così che si fanno le riforme costituzionali: si va a toccare una cosa delicatissima come l’architettura della nostra democrazia, la separazione dei poteri e il ruolo del capo dello Stato. La Costituzione la si scrive tutti insieme, proprio tutti e tutti insieme. Questa modo di agire, invece, mi sembra molto pericoloso. E poi se si aggiungono tutte le altre cose che vengono fuori periodicamente da questa destra, tipo la grande difficoltà a dirsi antifascisti in una Repubblica antifascista… Ecco, non mi piace l’aria che tira per la democrazia in questo Paese».

Lei è dichiaratamente bisessuale e giugno, oltre a essere il mese delle Europee, è anche il pride month. Come saprà, buona parte della comunità lgbtqia+ si sente minacciata dal centrodestra al governo. Ha ragione?

«Certo che ha ragione a sentirsi minacciata da un centrodestra che ogni mese inventa un nemico. Le persone della comunità lgbtqia+ sono evidentemente sotto attacco. Nella giornata mondiale contro la omobitransfobia il governo non ha firmato la dichiarazione Ue a sostegno della comunità. Ed è chiaro anche perché i rappresentanti del governo non risparmiano attacchi, battute, allusioni, eccetera in questo ambito. Tutte le persone diverse dall’idea che questa destra ha dell’uomo e della donna italica, cioè tutte e tutti i cittadini, perché ognuno è diverso a modo suo, dovrebbero sentirsi minacciati dalle politiche di questo governo. Ad ogni modo, buon mese del Pride a tutte e tutti. Speriamo che presto il Pride diventi soltanto una festa in cui festeggiamo diritti acquisiti, come dovrebbe essere per tutte e tutti quanti. Invece, è ancora necessario un momento di rivendicazione dei diritti e di contrasto alle discriminazioni. Sembra assurdo che nel 2024 occorra lottare per il diritto di amare, ma purtroppo è ancora così».

Passiamo alle questioni più cocenti per il mondo. La guerra imperversa, lei ha espresso posizioni critiche nei confronti della Nato. Allora le chiedo se tra il segretario Stoltenbeg e il ministro Crosetto si sente più affine alle posizioni di quest’ultimo, riguardo all’impegno occidentale in Ucraina.

«Beh, certo che sì. Il ministro Crosetto ha reagito in modo molto serio, come diversi altri alleati, a quella che è stata una fuga in avanti di Stoltenberg, che non è piaciuta a nessuno: non è piaciuta ai pacifisti e non è piaciuta neanche ai ministri della Difesa. E non è piaciuta sicuramente ai cittadini, perché siamo tutti preoccupati dall’escalation. Il punto è la de-escalation, è arrivare a un cessate il fuoco, arrivare a una pace giusta per l’Ucraina il prima possibile. Non certo aumentare il livello dello scontro quando ci sono anche le armi nucleari in gioco. La guerra va fatta finire, non si può correre il rischio di farla aumentare».

Parlando invece di Medio Oriente, ritiene che gli strascichi di quanto accaduto nella Striscia di Gaza dureranno ancora a lungo?

«Per forza, ogni guerra chiede il conto ben oltre la fine delle ostilità. La maggior parte delle vittime di una guerra non saranno poi alla fine, quando faremo i conti, le vittime morte per bombe o pallottole, ma saranno le vittime dell’indotto della guerra: tutti i malati che moriranno perché non ci sono più gli ospedali, tutti quelli che muoiono di fame, per l’acqua sporca, perché non c’è più un tessuto produttivo, tutti i bambini orfani. Pensiamo solo alla salute mentale della popolazione che sarà sopravvissuta alla termine delle ostilità a Gaza e a Rafah. E il nostro governo non sta facendo nulla di ciò che è necessario, cioè chiedere l’immediato cessate il fuoco a Netanyahu e poi lavorare a una soluzione politica che non può che prescindere dai “due popoli, due Stati”, con al centro i diritti umani delle popolazioni israeliana e palestinese. L’errore da non commettere, quando ci sarà il cessate il fuoco, è tornare alla situazione precedente al 7 ottobre, perché significare significherebbe aspettare il prossimo massacro del 7 ottobre, e, di conseguenza, il prossimo spianare Gaza. Quello che sta facendo il governo Netanyahu, che non è un’organizzazione terroristica ma un governo di uno Stato democratico, è tecnicamente una gravissima violazione del diritto umanitario. Possiamo chiamarli crimini di guerra, possiamo anche chiamarli massacri di civili su larga scala. Inaccettabile».

Non ha mai utilizzato la parola genocidio. Lei che conosce bene anche la terminologia che si applica al diritto internazionale, non ritiene che ci sia un genocidio in corso nella Striscia di Gaza?

«Quando io parlo di massacri civili, “massacri di civili” per me è la cosa più orribile che possa concepire. Dire “massacro di civili” per me è assolutamente dire tutto. Poi possiamo dibattere se c’è l’intento della pulizia etnica, e c’è un intento di pulizia etnica, o magari c’è un intento invece politico di lasciare vive delle persone che saranno poi radicalizzate e correranno tra le braccia di Hamas, così poi avremo la scusa per massacrarle ancora un po’. L’effetto di ciò che sta facendo il governo Netanyahu, di fatto, è una cosa che mette a rischio la sopravvivenza della popolazione palestinese. Le conseguenze, qualunque sia l’intento, sono quelle. Perché nel momento in cui si ammazzano i padri, le madri, i bambini, si distruggono gli ospedali… le convenzioni di Ginevra lo dicono chiaramente: non si muore di sole pallottole. Infatti vietano di bombardare gli ospedali, le scuole, i trasporti di cibo, eccetera. Perché altrimenti la popolazione muore, anche se non per una bomba. Si sta facendo tutto l’opposto e sono crimini di guerra. L’effetto dei crimini di guerra è che si mette a rischio la sopravvivenza di un popolo».

Tornando sul fronte russo-ucraino, perché un elettore dovrebbe votare il Pd se, riguardo a questo tema, la linea del partito che è per l’invio di armi agli alleati è innestata da candidature come la sua e quella di Tarquinio?

«Qualcuno dice “Non vogliamo trattare col nemico”. Signori, si tratta sempre col nemico, perché con gli amici si va a cena e si è già felici, mentre è col nemico che bisogna negoziare per ottenere la pace. Perché a continuare a morire, adesso, è la popolazione ucraina, ma soffre anche quella parte di popolazione civile russa che che sottostà al tiranno. Perché ricordiamoci sempre che poi, tra vincitori e vinti, comunque i poveracci fanno la fame. Venendo alla sua domanda, in realtà, anche prima di Strada e Tarquinio c’erano opinioni diverse nel partito sull’invio di armi. Non certo sull’obiettivo, che è la pace giusta per l’Ucraina. Sul modo di raggiungerla, già prima di noi due c’erano divergenze. Io penso che sia soltanto una ricchezza se un partito ha al suo interno posizioni diverse. E poi la segreteria fa una sintesi, è così che funzionano i partiti. Secondo me è un partito molto solido e molto ricco quello al cui interno si può discutere. Facciamo un esempio di altro tipo: gli accordi con la Libia. Evidentemente il Pd è un partito che negli ultimi anni ha avuto al suo interno posizioni diverse su questo tema. E poi la rotta la traccia la segreteria. È successo su tanti temi e succede che anche su questo: è segno di serietà, sinceramente, non di debolezza».

In chiusura, secondo lei quali sono i punti dove l’Europa si è rivelata fondamentale in questi anni e quelli dove, invece, dovrebbe fare di più?

«Il patto sull’immigrazione è un esempio di un passo storico, ma nella direzione sbagliata. L’Europa invece fa il suo lavoro quando opera insieme per la giustizia e per il bene comune. Pensiamo all’Europa che cerca insieme i vaccini, all’Europa che mette insieme i fondi Sure per pagare le casse integrazioni durante la pandemia. Quella è l’Europa che ci serve, perché nei prossimi anni avremo davanti davvero delle delle sfide enormi, delle crisi giganti e senza fondi e politiche eque per distribuire quei fondi e ridurre le disuguaglianze, saremo veramente nei guai. Quindi, quello che diciamo è che vogliamo un nuovo sistema di welfare europeo con tre gambe: l’infanzia, il lavoro e i giovani. Vogliamo che i fondi Sure diventino un fondo permanente. Ma, evidentemente, non si può soltanto sostenere chi è disoccupato, bisogna farlo lavorare, quindi, questo va insieme a una politica industriale comune che serve all’Europa e ci serve disperatamente, perché abbiamo bisogno di ragionare insieme sulla conversione di tutte le nostre imprese. Bisogna convertire ecologicamente se vogliamo avere un futuro. Ma questo va visto insieme a una politica fiscale unica, perché non è possibile che in Europa ci siano dei paradisi fiscali. E quello va visto insieme a una politica energetica comune: l’autosufficienza energetica ci serve, per inciso, anche come motore della pace, perché è molto bello non dover dipendere da qualcuno che è un tiranno, per esempio. E sicuramente bisogna parlare di disarmo. Io penso che sia una priorità il disarmo, a partire dal disarmo nucleare. Questo è il miglior momento per parlare di disarmo nucleare».

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