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Torino, la dottoressa che lascia il Pronto Soccorso: «Chi lavora qui va in burn out e worn out»

10 Settembre 2024 - 09:06 Redazione
michela chiarlo pronto soccorso torino dimissioni
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Michela Chiarlo ha lavorato per sei anni al San Giovanni Bosco. Adesso si arrende

Michela Chiarlo, torinese, specializzata in medicina interna, lavora al pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni Bosco di Torino. O meglio, lavorava. La scorsa settimana, dopo sei anni, si è dimessa. E in una lettera all’edizione torinese di Repubblica spiega che la medicina d’urgenza «è un lavoro bellissimo, ma nessuno è più disposto a farlo». Perché è estremamente usurante. Non per gli episodi di violenza: «Ci sono giornate in cui i pazienti arrivano come una marea inarrestabile. Ne visiti uno e ne registrano tre, aumenti il ritmo per cercare di esaurire la lista rimandando l’inessenziale: ecografie, controllo terapie, cartelle. La sensazione di impotenza è estrema: i pazienti, sono decine e tu sei da solo, è come stare sotto un’onda, è inutile nuotare, rischi di finire più sotto. Devi solo chinare la testa e aspettare che passi, facendo quello che si può e si riesce fino al cambio turno».

I turni di otto ore che diventano di dodici

Chiarlo dice che così i turni da otto ore diventano da nove o da dodici. «Nell’ultimo turno ho visitato ventinove pazienti, ne ho dimessi ventiquattro, uno l’ho ricoverato, tre sono rimasti per osservazione, uno è deceduto. Ho bevuto mezzo litro d’acqua e fatto due volte pipì; ho cenato all’una di notte con gli avanzi trovati in frigo», spiega. E il riconoscimento economico non serve: «Le prestazioni aggiuntive o “gettoni” sono briciole rispetto all’attività privata offerta da altre specialità e sono un’arma a doppio taglio: le apprezza, per un tempo limitato, chi ha in mente un progetto (comprare casa, cambiare auto, andare in vacanza), ma raggiunto l’obiettivo smetterà di offrire disponibilità e lascerà il vuoto».

Lavorare meno con lo stesso compenso

La dottoressa conclude spiegando che «gli operatori dell’urgenza non vanno (solo) in burn out… vanno in worn out, si usurano come le scarpe quando pretendiamo di camminarci troppi chilometri. Il worn out è prevedibile e prevenibile: basterebbe un po’ di lungimiranza per investire nel modo giusto. Il Covid ci ha insegnato che un lavoro flessibile, che lascia molto tempo libero o tempo a casa è più appetibile: è una tendenza che si vede in moltissimi settori. I lavoratori dell’urgenza non devono essere pagati di più: devono lavorare meno allo stesso compenso. Devono avere adeguato supporto psicologico ed emotivo, devono compensare la fatica lavorativa con adeguati riposi a casa. Solo così eviteranno di consumarsi e scappare».

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