Borders, il racconto dell’amore impossibile tra un libanese e un israeliano. Nimrod Danishman: «Siamo popoli che vogliono solo vivere in pace»
Come possono un israeliano e un libanese amarsi nonostante le barriere? C’è una pièce teatrale, ma anche virtuale, andata in scena a Roma, al Teatro Manzoni, come parte della rassegna internazionale di drammaturgia contemporanea In altre parole, curata da Miriam Mesturino e Pino Tierno. L’opera si chiama Borders – Confini, riadattata in italiano, ed è nata dalla mente di Nimrod Danishman regista, drammaturgo e insegnante di recitazione israeliano. Nimrod ha co-fondato a Tel Aviv il teatro LGBTQ+ Hameshulash, di cui è direttore artistico. E in un incontro con Open spiega come è nato tutto. Nimrod Danishman, nato a nord di Israele, è cresciuto a due passi dal sud del Libano. «Non è come qui, nell’Unione europea, lì i confini sono molto rigidi – spiega – ho vissuto per tutta la vita davanti al panorama libanese, uguale al mio. Ma sapevo che dall’altra parte del muro c’era il “nemico”, qualcuno che “poteva ucciderci”. Mi sono sempre chiesto come sarebbe stato se ci fosse stata la possibilità come qui, di prendere un bus e andare tranquillamente dall’altra parte». «Un giorno – racconta il regista – su Grindr, conobbi proprio un libanese. Stava dall’altra parte del confine. Abbiamo chattato per 24 ore. Avevamo tanto in comune, entrambi gay, gay che vivono in Medio-Oriente, con la questione dell’outing da fare con le rispettive famiglie… E penso che “i nemici” alla fine sono come te. Non ci siamo mai conosciuti. In Borders la conversazione continua anche se (spoiler) anche qui non riusciranno a incontrarsi».
Il 7 ottobre e quelle scuse che «non ho accettato»
Ma come è stato quando quei confini sono diventati più alti? Ovvero dopo il 7 ottobre? Nimrod ha un ricordo nitido, con uno dei due attori originali della pièce, arabo-israeliano. «Un mese dopo il 7 ottobre – racconta – mi ha chiamato. Eravamo entrambi scioccati da quello che era successo. Ci siamo visti in un quartiere di Tel Aviv che è molto simile al vostro di San Lorenzo, a Roma. La prima cosa che mi ha detto è stata “scusa”. Gli chiesi per cosa stesse chiedendo scusa: non aveva fatto nulla, del male a qualcuno, non aveva ucciso. Mi rispose “scusa per il mio popolo”. Gli risposi: “Non è il tuo popolo. Tu non lo hai fatto, non l’ho fatto nemmeno io. Siamo due popoli, facciamo arte abbiamo tanto in comune. Non dire mai mi dispiace per qualcosa che non hai fatto. Non è colpa tua”». Per Nimrod è molto più semplice rispetto a come la si percepisce esternamente. «In realtà – spiega – si tratta solo di popolazioni, che vogliono vivere in pace. Non gli importa di Hamas e nemmeno dell’attuale governo israeliano. Vogliono solo vivere la loro vita. Lo spettacolo è proprio su questo».
«Se vuoi aiutare non puoi isolare»
Recentemente L’ILGA World, la federazione internazionale LGBTQ+ che rappresenta oltre 400 gruppi in tutto il mondo, ha sospeso temporaneamente The Aguda, l’organizzazione LGBTQ+ israeliana. Una scelta «terribile», dichiara Nimrod. Se vuoi aiutare non puoi isolare – come attivista io lotto per i diritti lgbtq+ sia israeliani che palestinesi. Faccio volontariato in una casa accoglienza per persone discriminate dalla loro famiglia: su 20 persone, 15 sono palestinesi». E ancora: «Ho deciso che la mia missione è costruire, non distruggere. Qualche giorno dopo il 7 ottobre abbiamo deciso 4 palestinesi e 4 israeliani di darci appuntamento ogni settimana e scrivere cosa stava succedendo. Perché l’importante è nei momenti più bui avere un dialogo. Quando scrissi “Borders” cercavo un gay libanese per costruire al meglio il personaggio. Era impossibile trovare qualcuno disposto a raccontarsi con un israeliano».
«Ho sempre pensato di esser cittadino del mondo, ma adesso ho un po’ di paura»
In “Borders” i due protagonisti decidono di incontrarsi a Berlino, un oasi di pace lontana dai due paesi natali. Eppure come dimostrano i recenti fatti di Amsterdam, anche una città europea rischia di non esser un posto sicuro. «I miei amici mi chiedono se Israele è un posto sicuro (sorride ndr), beh potresti esser ucciso da un missile ma dopotutto sì è un posto sicuro. E immagino anche l’Europa sia un posto sicuro. Ma penso che sia iniziato un periodo difficile per ebrei, gay.. E non si tratta di liberali contro conservatori ma di populismo contro progressismo. Come liberale lotto per un mondo migliore. Il mio prossimo viaggio, tra l’altro, è proprio ad Amsterdam». Hai paura? «In queste sere ho dormito proprio a San Lorenzo, ho visto diversi manifesti sulla guerra in corso, alcune scritte. Ho sempre pensato di esser cittadino del mondo, ma adesso ho un po’ di paura».
(in copertina uno spettacolo di Borders, andato in scena il 10 novembre al teatro Manzoni, Roma)