Il primo maggio amaro delle mamme di Patrizio Spasiano e Mattia Battistetti, morti, giovanissimi, sul posto di lavoro


Non li vedranno crescere, non li vedranno prender casa. Non li accompagneranno all’altare. Sono le mamme del 19enne Patrizio Spasiano e Mattia Battistetti, 23 anni, morti sul posto di lavoro. Giovanissimi. Per loro non ci sarà mai un primo maggio felice. «Noi veniamo da Secondigliano, un quartiere difficile. E abbiamo cresciuto i nostri figli con il senso del lavoro. E mio figlio così ha fatto. È andato a cercare lavoro. Voleva imparare un mestiere onestamente», ha detto, dal palco di Cgil Cisl Uil in piazza Municipio, Simona Esposito, la madre di Patrizio, morto a gennaio scorso in una fabbrica nel Casertano.
«Mio figlio è entrato in un capannone con tubi di ammoniaca, è stato ucciso»
«Chiedo giustizia per mio figlio – ha aggiunto Simona Esposito – perché mio figlio è stato ucciso. Non ha avuto un incidente di lavoro. Mio figlio è stato mandato senza competenze, aveva 19 anni, lavorava da due mesi in una fabbrica per imparare un mestiere, quello del saldatore. Eravamo convinti che mio figlio dovesse stare in una fabbrichetta ad imparare. Così ci avevano promesso. E invece con un subappalto è andato in un’altra fabbrica. Hanno avuto il coraggio di mandare lì mio figlio, senza competenze, senza un corso di sicurezza». «Mio figlio – ha detto ancora Simona Esposito – è entrato in un capannone con tubi di ammoniaca. Sono sicura che mio figlio non sapesse nemmeno cosa ci fosse. Lo hanno mandato su un trabattello da solo. Quando è scoppiato il tubo di ammoniaca gli altri sono scappati via. Lui è rimasto su questo trabattello per 5 ore con l’ammoniaca sul viso, protetto solo dalle sue mani»
«Ogni volta essere in quell’aula è una coltellata. Ma lo devo a Mattia»
«Vado al cimitero a trovarlo due volte al giorno, sempre. Per me non c’è Primo maggio, Natale o Ferragosto. Non ho più niente da festeggiare. Mattia era un ragazzo buono, era l’amico degli ultimi fin da quand’era bambino: amici in difficoltà, immigrati che faticavano a stare al passo, disabili da aiutare; lui c’era sempre. Lavorava anche 14 ore al giorno. Inizio turno alle sei del mattino, e non l’ho ma sentito lamentarsi per gli orario per la stanchezza». Questo il ricordo di Monica Michielin al Corriere della Sera. Da quattro anni suo figlio Mattia Battistetti, 23 anni, non c’è più. Morto in un cantiere edile di Montebelluna (Treviso): un bancale di 15 quintali si è staccò dalla gru uccidendolo sul colpo e ferendo un altro lavoratore. Si era spezzata la coppiglia, un ingranaggio che impedisce a un dado di svitarsi o a un perno di sfilarsi. Sei a processo fra cui Gianantonio Bordignon, titolare del cantiere e responsabile dei lavori. «Ogni volta essere in quell’aula è una coltellata. Ma lo devo a Mattia – spiega Monica – perché lui si merita la giustizia e la verità, e la verità è che in quel cantiere la sicurezza non c’era. Le do un dettaglio (dice rivolta all’inviata Giusi Fasano ndr) per farle capire come giravano le cose: mentre Mattia era lì, ancora caldo di vita, sono comparsi come per magia i cartelloni per la sicurezza che non c’erano fino a poco prima. Ci sono fotografie che lo provano…Sa cosa ho pensato un milione di volte da quando non ho più mio figlio? Che il presidente Mattarella ha proprio ragione quando dice che non ci sono più parole per definire le stragi quotidiane sul lavoro. È vero, non esistono le parole per l’indecenza della non sicurezza sui luoghi di lavoro».