«Devi morire…», le frustate dalla zia sulla ragazzina stuprata dai rampolli dei clan. La chat col poliziotto che l’ha convinta a denunciare


«Devi morire, puttana». La zia la frustava a sangue con una corda, mentre suo cugino la teneva ferma e le tappava la bocca perché non urlasse. Sei mesi dopo, quella stessa zia l’aveva vista per caso passare davanti alla sua abitazione e l’aveva presa a sassate. È il trattamento riservato a una giovane di Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria, «colpevole» di aver denunciato le violenze sessuali subite da un gruppo di giovani, tra cui alcuni rampolli di alcune famiglie della ‘ndrangheta di Seminara, a pochi chilometri da Oppido. Per i suoi familiari – si legge dal verbale della procura di Palmi pubblicato su Sette da Carlo Macrì, il fatto che la giovane avesse raccontato tutto alle forze dell’ordine era una «scelta vergognosa» che rischiava di ritorcersi contro tutti loro. È proprio la zia a lanciare una proposta scioccante: «Mi ha chiesto di sottopormi a una visita ginecologica per verificare se ancora vergine o meno. Voleva trovare elementi a favore degli autori delle violenze sessuali per consentire loro di tornare in libertà».
Le violenze dei familiari: «Volevano che ritrattassi le denunce, avevano paura»
«Volevano farmi ritrattare le dichiarazioni dopo gli stupri subiti. Volevano farmi ritirare le denunce per consentire ai responsabili delle violenze sessuali di tornare in libertà», questa la sicurezza della giovane. «Evidentemente per il timore che le loro famiglie possano porre in essere ritorsioni nella mia famiglia». La zia, il fratello e la moglie del fratello – tutti ai domiciliari per violenza aggravata e lesioni – avevano paura, non bastava che sei degli stupratori siano stati condannati a pene dai 5 ai 13 anni. Le botte da parte dei familiari avvengono nel corso di mesi. Il 7 maggio 2024, secondo quanto si legge negli atti della procura, la ragazza stava passeggiando di fronte alla casa della zia quando questa «mi lanciava una pietra che mi colpiva al fianco destro, senza nessun motivo». La giovane non racconta niente a nessuno, nemmeno alla madre con cui ora abita in una nuova casa, come stabilito dalla Prefettura.
Le frustate della zia e il messaggio al poliziotto: «Non ce la faccio più»
In realtà la ragazza con qualcuno parla. Si tratta di Francesco Prestopino, agente della polizia giudiziaria e amico della vittima dello stupro di gruppo. A volte basta un messaggio su WhatsApp: «Ciao Francy, non ho un minuto di pace. Vorrei che tu mi dessi una mano, vorrei prendere le distanze da questa mia zia perché non ce la faccio più». È proprio Prestopino, di fronte ai continui racconti della ragazza, a spingerla a sporgere denuncia. In uno degli ultimi verbali, datato 8 gennaio 2025, la ragazza ha raccontato di essere stata chiamata dalla zia «con un gesto delle braccia». Seguendo le sue indicazioni, sarebbe entrata nella sua abitazione, dove si trovava anche il cugino: «Una volta dentro, ho notato che mia zia aveva tra le mani una corda e senza un motivo specifico ha iniziato a colpirmi alle gambe e alla schiena», si legge negli atti pubblicato su Corriere. «Ho cercato di divincolarmi, ma non mi è stato possibile poiché suo figlio me lo impediva trattenendomi per le braccia. Non sono riuscita a gridare perché mi hanno tappato la bocca. Mentre mi frustava mi apostrofava: “Devi morire, puttana”».
Le violenze del fratello e le minacce di morte alla madre
Non le risparmia violenze nemmeno il fratello, uno degli indagati. Il 20 marzo 2024, dopo aver subito la violenza di gruppo, la giovane sarebbe andata proprio dal fratello raccontandogli quanto accaduto. Lui, «dopo avermi umiliata», l’avrebbe colpita con calci e pugni e l’avrebbe poi «minacciata con un coltello, con la moglie presente». Ulteriori aggressioni, da parte dell’uomo e della zia, sarebbero arrivate per assicurarsi che la giovane «rimanesse casta». Il fratello, uso a urlare contro alla madre «obbligandola a vestirsi con abiti più sobri», sarebbe addirittura arrivato a minacciare di morte la madre e la sorella se la giovane fosse uscita da sola con un’amica. La zia invece, dopo aver visto la nipote parlare con un operaio del Comune, avrebbe «scagliato addosso alla ragazza due taniche piene d’acqua, tentando di allontanarmi da lui».