Netanyahu tira dritto su Gaza: «Sradicheremo Hamas e realizzeremo il piano Trump». Gli aiuti? «Gli Usa ci chiedono di evitare crisi umanitaria»


Un cessate il fuoco a Gaza? Sì, ma solo alle condizioni di Israele. Le ha elencate una per una questa sera Benjamin Netanyahu in conferenza stampa, la prima da cinque mesi. Il suo governo «è pronto a mettere fine alla guerra, a chiare condizioni che assicurino la sicurezza di Israele: che tutti gli ostaggi tornino a casa, che Hamas deponga le armi e lasci il potere, che la sua leadership sia esiliata dalla Striscia, che Gaza sia completamente disarmata e che realizziamo il piano rivoluzionario di Trump». L’ultimo riferimento è al progetto tratteggiato nei mesi scorsi dal presidente Usa di deportare la popolazione palestinese fuori dalla Striscia di Gaza, non a chiaro per quanto tempo. Come nota il Times of Israel, si tratta della prima volta che Netanyahu condiziona il raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza alla realizzazione di quel progetto, considerato come inaccettabile dalla maggioranza della comunità internazionale. Un sì per celare un quasi no di fatto, dunque. Secondo il premier israeliano d’altra parte chiunque chieda di arrivare a un cessate il fuoco senza che quelle esigenze siano rispettate sta di fatto «chiedendo che Hamas resti al potere, il che gli consentirebbe di riorganizzarsi e commettere altre atrocità» come quelle del 7 ottobre.
L’avanzata dell’Idf dentro Gaza «fino alla sconfitta di Hamas»
Il piano A di Netanyahu e del suo governo dunque è tutt’altro, ed è quello che l’esercito sta portando avanti ormai da diversi giorni con l’operazione “Carri di Gedeone”. «Le nostre forze stanno infliggendo colpi sempre più potenti contro le postazioni di Hamas ancora esistenti a Gaza, e stanno avanzando con l’obiettivo di ripulire sempre più aree dai terroristi e dalle infrastrutture di Hamas». Al termine della campagna, assicura il premier al Paese, «tutti i territori di Gaza saranno sotto il controllo di sicurezza israeliano, e Hamas sarà totalmente sconfitta». È la «vittoria totale» che Netanyahu promette ormai da oltre un anno e mezzo ai suoi concittadini, ma ora conta di raggiungerla grazie all’operazione rafforzata messa a punto e guidata dal nuovo capo stato maggiore dell’esercito Eyal Zamir, nominato nei mesi scorsi proprio con quest’incarico. Netanyahu ha lasciato la porta aperta solo a un cessate il fuoco temporaneo per far rientrare gli ostaggi («se si presenta un’opportunità la coglieremo») e ha confermato la valutazione svelata di recente da Donald Trump secondo cui i rapiti israeliani ancora in vita a Gaza sono 20, «sino a 38» quelli invece considerati morti.
Il sì (sofferto) agli aiuti «per evitare una crisi umanitaria»
A fronte dell’agenda politico-militare delineata, di fatto l’unica vera concessione alle pressioni della comunità internazionale – compreso l’unico alleato che Netanyahu proprio non può permettersi di ignorare, Donald Trump – riguarda gli aiuti umanitari. Da qualche giorno Israele ha ripreso a consentirne l’invio nella Striscia, sia pur col contagocce. Di fronte al Paese, specialmente alle destre il cui sostegno è cruciale per il suo governo, Netanyahu deve quasi giustificarsi per la scelta: il governo sostiene infatti che i beni alimentari vengano regolarmente confiscati da Hamas, che rivende quanto non tiene per sé a prezzi esorbitanti per finanziare le proprie attività militari. Tuttavia al fine di preservare il sostegno dei propri alleati il governo ha dovuto acconsentire alla rottura dell’embargo alimentare, spiega Netanyahu, chiarendo che da Washington gli hanno detto esplicitamente che «se c’è una cosa che non accetteranno è una crisi umanitaria a Gaza». Con gli Usa stessi Israele comunque ha messo a punto un piano per tentare di tenere gli aiuti che entrano a Gaza lontano dalle mani di Hamas. Al momento, spiega Netanyahu, si sta facendo entrare «beni alimentari di base» per prevenire una crisi umanitaria. In una seconda fase saranno aperti dei «punti di distribuzione» degli aiuti a cura di compagnie private Usa. Infine dovrebbe essere creata una «zona sterile» nel sud della Striscia, totalmente libera da Hamas, dove la popolazione civile, fatta evacuare dalle zone dei combattimenti, possa trovare rifugio e ricevere «pienai aiuti umanitari». Non è chiaro con quale orizzonte, considerato il progetto di Netanyahu (e Trump?) di prevederne in futuro il «ricollocamento» altrove.
Foto di copertina: EPA/RONEN ZVULUN | Il premier israeliano Benjamin Netanyahu in conferenza stampa a Gerusalemme – 21 maggio 2025.