«Volvo e BNP Paribas guadagnano dal genocidio a Gaza», la denuncia di Francesca Albanese sulle partnership delle aziende con Israele


«Perché il genocidio di Israele a Gaza continua: perché è redditizio per molti». L’equazione del Medio Oriente, secondo Francesca Albanese, è molto semplice: ci sono persone che muoiono, persone che sparano, e persone che per ogni proiettile esploso ingrassano le loro tasche. E ce n’è per tutti: banche, grandi produttori di auto, aziende di software. Un sistema che la relatrice speciale dell’Onu sui diritti umani nei territori palestinesi occupati ha denunciato in un report, ora nelle mani del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. «I fornitori passivi sono diventati deliberatamente contributori di un sistema di espulsione», ha commentato Albanese parlando con il Guardian.
Il settore militare nella guerra di Gaza: da Lockheed a Palantir
Il rapporto «Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio» scandaglia ogni ambito del sostegno – militare e non – alle operazioni israeliane nella Striscia di Gaza, che pochi giorni fa sono entrati nel loro 21esimo mese. A partire dalla Lockheed Martin, una delle principali società nei settori aerospaziali e difesa, che avrebbe creato «il più grande programma di approvvigionamento di difesa mai realizzato» tramite 1.600 altri produttori e otto Paesi differenti per rifornire l’Idf del letale caccia F35. Non solo. Nell’ambito militare sono utilizzate anche le tecnologie innovative di Palantir, che ha sviluppato un software che consente il processo decisionale automatizzato in battaglia dando supporto ai militari impegnati sul campo. Contattata dal Guardian, l’azienda si è limitata a ribadire di aver preso tutte le precauzione necessarie per «attenuare i rischi per i diritti umani nel nostro lavoro».
La partnership con Volvo per costruire i caterpillar demolitori
Ma se Lockheed e Palamir sono prettamente attive nel settore militare, tantissime altre sono le aziende che non si occupano di guerra ma hanno sigillato stretti rapporti con Tel Aviv. È il caso della svedese Volvo, nota casa automobilistica che – secondo il rapporto – avrebbe fornito i macchinari base che poi l’esercito israeliano ha trasformato nei caterpillar con cui demolisce case e moschee a Gaza. «Gran parte dei macchinari è stata acquistata sul mercato dell’usato», si è difesa l’azienda. Che poi, riguardo al contratto con l’israeliana Merkavim a cui fornisce telai per l’assemblaggio di autobus, ha ribadito di vigilare sul «codice di condotta dei partner fornitori, che include specifici requisiti in materia di diritti umani».
Il ruolo delle banche: da Barclays a BNP Paribas fino al Fondo sovrano norvegese
È innegabile che la guerra sia questione di soldi, sia quelli bruciati in armamenti sia quelli guadagnati dal proprio business. E così è stato – ed è tuttora – per moltissime banche e fondi di investimento. Il report dell’Onu ne cita solo alcune: la francese BNP Paribas, l’inglese Barclays, la tedesca Allianz (tramite la società Pimco) e il fondo americano Vanguard. Tutti questi, nel corso degli ultimi 21 mesi, avrebbero sottoscritto titoli del Tesoro israeliani, garantendo a Tel Aviv immediata liquidità e consentendo a Israele di contenere il premio sui tassi di interesse nonostante il rischio di quelle azioni sia progressivamente cresciuto. Tra i principali investitori c’è anche il Norwegian Government Pension Fund Global, il più grande fondo sovrano al mondo, che da ottobre 2023 ha aumentato i suoi investimenti in aziende israeliane del 32%.