Ultime notizie Donald TrumpGazaJannik SinnerMatteo PiantedosiUcraina
ECONOMIA & LAVOROLavoro e impresaLGBTQ+OmofobiaRistorantiTrentino-Alto AdigeTrento

Paolo Cappuccio non si scusa più: «In cucina c’è il fancazzismo più totale. Sono schiavo dei miei dipendenti»

paolo cappuccio chef dipendenti comunisti gay
paolo cappuccio chef dipendenti comunisti gay
Lo chef: abbiamo perso il controllo dei dipendenti. Pochi doveri e tantissimi diritti

Lo chef Paolo Cappuccio ha pubblicato nei giorni scorsi un post di ricerca personale piuttosto particolare. Escludendo cioè alcune categorie di persone: «Fancazzisti, comunisti, drogati, ubriachi e per orientamento sessuale». Poi lo ha cancellato. A suo dire per i messaggi e le minacce di morte che avrebbe ricevuto. Con il Corriere della Sera si è scusato: «È stato uno sfogo». Con il Giornale invece rivendica ciò che ha scritto: «Da decenni gestisco diverse brigate in giro per l’Italia e da dopo il Covid abbiamo perso il controllo dei dipendenti. Pochi doveri e tantissimi diritti. Siamo passati dalla schiavitù negli anni ‘90 in cucina al fancazzismo più totale».

Schiavitù e fancazzismo

Nel colloquio con Hoara Borselli Cappuccio spiega il fancazzismo: «Se un cuoco arriva in ritardo una, due, tre volte, io non posso fare niente perché mi risponde che se non mi sta bene si toglie il grembiule e se ne va». Si tratterebbe quindi di un ricatto «costante. Provi ad immaginare se in un albergo di lusso dove hai cinque cuochi, una mattina non si presenta nessuno a fare le colazioni perché non si vogliono svegliare all’alba». E quindi: «Se li riprendo e faccio notare che è la terza volta che fanno ritardo la risposta è questa: “Se non ti va bene, lo fai tu”. Se ne vanno negli alloggi e si mettono in malattia. Il dottore gli accorda una settimana di malattia e visto che non c’è un controllo dell’Inps io mi trovo senza forza lavoro».

Il medico e il cuoco

In effetti appare quantomeno scandaloso che sia un medico a dire che una persona sta male e non il suo datore di lavoro. Ma le vessazioni che deve subire un imprenditore del calibro di Cappuccio non finiscono qui: «Noi imprenditori non abbiamo nessun mezzo per poter contrastare questo fenomeno. I dipendenti sono diventati i padroni. E ricattano». E cioè: «Spesso mi trovo a dire loro che se non si comportano bene, se non lavorano seriamente, sarò costretto a mandarli via. Sa cosa rispondono? Che se li mando via dovrò comunque pagarli fino a fine stagione. Quindi succede che un dipendente lavori 20 giorni e pretenda di essere pagato fino alla fine. Questo per me è un ricatto, non è professionalità. Sono cinque anni che noi imprenditori viviamo sotto questo ricatto. Siamo schiavi dei dipendenti. Infatti non ha idea della solidarietà che sto ricevendo dalla categoria».

Il pedofilo e quello coi pantaloni calati

Insomma, è vergognoso secondo Cappuccio che se si decide di licenziare in tronco qualcuno senza preavviso poi lo debba pagare. Poi passa a un aneddoto: «L’ultima che ho visto è stata terribile. In brigata con noi mi sono ritrovato un pedofilo. Quando ho sgamato i messaggi e le foto che guardava sul telefono gli ho immediatamente intimato di andare via». Andato? «No, non potevo licenziarlo. La giusta causa non esiste. Abbiamo mani, bocca e piedi legati». E anche l’abbigliamento, sostiene, lascia a desiderare: «Oggi un ragazzo di vent’anni arriva e ti dà del tu. Si presenta con il pantalone calato e un atteggiamento senza un briciolo di rigore e di rispetto. Guai se gli dici qualcosa perché prende e se ne va. Così facendo tu crei un disagio all’azienda perché se un lavapiatti ti va via ad agosto, chi trovi? Comprometti la stagione lavorativa».

leggi anche