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Lo chef che non vuole «fancazzisti, gay e comunisti»: ecco perché l’annuncio sui social di Paolo Cappuccio viola la legge

09 Luglio 2025 - 16:34 Giampiero Falasca
paolo cappuccio chef dipendenti comunisti gay
paolo cappuccio chef dipendenti comunisti gay
L’articolo 10 della "Legge Biagi" vieta ogni forma di discriminazione. Chi trasgredisce può essere soggetto a sanzioni fino a 50mila euro

Nei giorni scorsi ha fatto molto discutere il post pubblicato da un noto chef sui suoi canali social, in cui cercava «uno chef con brigata per hotel 4 stelle in Trentino». Fin qui nulla di strano, se non fosse per l’elenco delle persone “non gradite”: “comunisti/fancazzisti”, “persone con problemi di alcol, droghe e di orientamento sessuale”. Il post si chiudeva con una battuta: «Se eventualmente resta qualche soggetto più o meno normale… ben volentieri». Una frase che, al di là del tono provocatorio, ha sollevato un’ondata di critiche. Ma oltre all’indignazione, c’è un punto giuridico da chiarire: anche un post informale sui social può rientrare nel perimetro delle regole che disciplinano la selezione del personale, e dunque deve rispettare i principi fondamentali di non discriminazione.

La norma

Il riferimento normativo è l’articolo 10 del decreto legislativo 276 del 2003 (la cd Legge Biagi), che stabilisce i criteri e i limiti per chi effettua attività di ricerca e selezione del personale. La norma, seppur pensata in origine per agenzie per il lavoro e intermediari autorizzati, è stata nel tempo interpretata in senso estensivo, fino a ricomprendere anche i datori di lavoro che pubblicano direttamente annunci destinati al pubblico, a prescindere dal canale utilizzato. Non è infatti rilevante la forma dell’annuncio – non serve che sia strutturato o formalizzato – ma la sua funzione: se il messaggio è rivolto a raccogliere candidature, è soggetto alle regole sulla trasparenza e sull’equità dell’accesso al lavoro.

L’articolo 10 vieta in modo espresso ogni forma di discriminazione, diretta o indiretta, fondata su sesso, orientamento sessuale, stato matrimoniale o di famiglia, età, origine etnica, convinzioni personali, appartenenza sindacale, disabilità, religione o nazionalità. Tali divieti operano sia nella fase di selezione vera e propria, sia nella formulazione e pubblicazione dell’annuncio. Il legislatore impone che l’attività di ricerca di personale si svolga con modalità tali da garantire correttezza, trasparenza e rispetto della dignità dei candidati.

Cosa succede a chi viola le regole

Chi viola queste regole può essere soggetto a sanzioni pesanti, che vanno da 5.000 a 50.000 euro. La giurisprudenza ha più volte affermato che i messaggi rivolti al pubblico per la ricerca di personale, anche se diffusi tramite canali informali come i social media, devono rispettare integralmente i principi di non discriminazione previsti dalla legge. Accanto a questi divieti, è importante ricordare quanto previsto anche dall’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970), che vieta al datore di lavoro di effettuare indagini, anche in fase di selezione, sulle opinioni personali dei candidati, comprese quelle politiche, religiose e sindacali. Ebbene, un annuncio che esclude esplicitamente i “comunisti” – indipendentemente dalla veste ironica – non solo discrimina sulla base di una convinzione personale, ma costituisce anche un’indagine vietata sulle idee politiche altrui. È una violazione che incide direttamente sulla libertà del candidato e sul principio di riservatezza che la legge tutela con particolare rigore.

Il confine tra umorismo e discriminazione

Il fatto che un datore di lavoro utilizzi un linguaggio “ironico” o provocatorio, o che affidi la ricerca del personale a un post pubblicato sul proprio profilo personale, non lo sottrae ai vincoli di legge. È ormai principio consolidato che i criteri di selezione, anche quando espressi in forma semiseria o con intento umoristico, non possano ledere la dignità dei potenziali candidati né escludere categorie tutelate. La discriminazione, anche quando travestita da battuta, resta tale. Va detto, a onor del vero, che lo chef ha poi rimosso il post, probabilmente anche a seguito delle numerose reazioni negative ricevute, e quindi avrebbe poco senso prolungare ancora la vicenda. Ma bisognerebbe imparare la lezione impartita da questo episodio: il linguaggio va usato con cautela, anche sui social media.

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